Francesco Bonami, La Stampa 14/7/2011, 14 luglio 2011
FRANZ WEST: «NON IMPORTA COME L’ARTE SI PRESENTA MA COME SI USA»
Più Viennese della torta Sacher, a vederlo sembra un mozzicone di sigaretta uscito dal posacenere di un caffè di Vienna. Questo è Franz West, lo scultore al quale la Biennale di Venezia ha appena conferito il Leone d’oro alla Carriera (l’altro è andato a un’altra grande vecchia, la Sturtevant) con una cerimonia che ha concluso la kermesse del vernissage della 54ma Mostra di Arti Visive. Quando è salito sul palco a ritirare il premio West, classe 1947 ma fragile in salute, aveva l’eleganza e la grazia di Eduardo De Filippo e la croce di qualche alta onorificenza austriaca al collo. Ha abbozzato un inchino alla folla che lo applaudiva in piedi e poi ha confessato di aver dimenticato il discorso in albergo e se ne è andato.
Franz West è colui che ha ridato dignità alla «Merda d’artista» trasformandola in sculture colorate che sembrano degli Henry Moore fatti in cucina. Ma West erede dell’azionismo Viennese, quel movimento dove la gente si tagliava parti del corpo o vomitava sul pubblico, ha preferito trasformare la violenza creativa in sculture che a volte si possono indossare o in mobili dove ci si può sedere e persino dormire. Franz West è un guru per i giovani artisti e uno degli ultimi romantici rimasti in un mondo divorato dalla comunicazione, il denaro e il successo da rivista di pettegolezzi. Una delle sue famose frase è «Non importa come l’arte si presenta, l’importante è come si usa». La sua infatti è un arte usabile e anche un po’ usata.
Nel giardino in fondo all’Arsenale quest’anno c’è una specie di sgorbio rosa che si alza in aria in mezzo agli alberi che ha un’eleganza incredibile, un menhir che sembra fatto con lo scotch e poi dipinto con una bomboletta spray, eppure ha una presenza regale. L’arte di Franz West è al tempo stesso classica e semplice come le colonne dello stile dorico della Grecia antica e contemporanea come un pacco delle poste. Le sue risposte alla nostra intervista sono essenziali come le sue opere.
Contento del Leone d’Oro?
«Sono estasiato».
Da dove arrivano le sue sculture?
«Dallo studio».
Perché le piace collaborare spesso con altri artisti come ha fatto qui a Venezia alle Corderie con quello che la Curiger definisce un «parapadiglione» ed è pieno di opere di altra gente?
«È una sorta di amicizia che mi aiuta a rompere un mio solipsismo naturale».
Prende l’arte seriamente o è un artista serio?
«Prendo l’arte seriamente perché credo che sia in contraddizione con una gran parte del resto del mondo».
Beve ancora succo di arancia mescolato all’espresso dopo che ha smesso di bere alcool?
«Certo, mi sono fatto uno di questi cocktail pochi minuti fa. Sono alla ricerca di bevande interessanti che sostituiscano l’alcol».
Quali sono gli artisti ai quali si sente più vicino?
«Direi gli artisti che ho incontrato quando mostrai quattro anni fa le mie opere a Palazzo Grassi. Gente come Anselm Reyle, Rudolf Stingel, Urs Fischer, David Hammons».
Cosa pensa dei curatori?
«Fortunatamente non ho nulla a che fare con loro da parecchi anni».
Cosa pensa dei galleristi?
«Possono essere molto intelligenti».
Cosa pensa dei collezionisti?
«Sono un collezionista io stesso. Devo per forza avere una buona opinione di loro».
Cosa pensa degli architetti?
«Se sono bravi mi piacciono, ma specialmente in Austria sono fra le persone più mediocri».
Sta leggendo qualche libro?
«Sì la biografia di Lacan di Roudinesco del 1996».
Che ne pensa di Venezia?
«La amo!».
Cosa odia di più?
«Mia suocera».
Se dovesse mangiare una sola cosa per il resto della sua vita cosa mangerebbe?
«Shashimi».
Le piace l’idea che quest’anno la Biennale apra con Tintoretto?
«Penso che sia interessante mescolare l’arte contemporanea con gli antichi maestri. Per un sacco di tempo si pensava che solo lo stesso tipo di arte potesse stare insieme. Invece questo esperimento allarga il campo delle possibilità che fino ad oggi era troppo ristretto».
Pensa che fra 500 anni la Biennale aprirà con Franz West?
«No».
Quale è la sua relazione con il denaro?
«Devo dire che, con mia enorme sorpresa, mi piace veramente parecchio».
Il peggiore artista anche ha mai incontrato?
«Ci sono tantissimi artisti che odio radicalmente, ma è inutile farne il nome».
Il migliore?
«Ci sono moltissimi artisti per i quali sono ossessionato da quanto mi piacciono, ma vale quanto detto prima».
Un lavoro del quale va molto fiero?
«Si chiama ION e consiste di due Adaptives (le sculture bianche da indossare o usare n.d.a.) e una proiezione dove si vede un signore di nome Ivo Dimchev che fa vedere come si devono usare i pezzi».
Un’opera della quale si vergogna?
«Mi vergogno veramente dei miei primi lavori. Sono cose che non dovrebbero mai essere messe in circolazione o vendute».