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 2011  luglio 14 Giovedì calendario

BOLOGNA. QUEI PORTICI DOVE SI NASCONDONO GLI ASSASSINI

Con il suo labirinto di portici che si spalancano a sorpresa sulle piazze, Bologna ha sempre ispirato i cineasti: facile per amanti o assassini nascondersi dietro le colonne, o fuggire alla ricerca di un nascondiglio.
Sarà anche per questo che la città delle Due Torri ha cominciato prestissimo, nel 1916, a prestare i propri fondali al cinema, anche se in quel caso il film, dal titolo programmatico «I bimbi d’Italia sono tutti balilla», aveva chiari scopi propagandistici, dato che eravamo nel bel mezzo della Grande Guerra. Da allora a Bologna ne sono stati girati almeno un altro centinaio, come documenta l’archivio della Cineteca Comunale alla sezione Memoria visiva emiliano-romagnola: pellicole sconosciute e celebri, commedie e film drammatici, thriller anomali come «Quo vadis, Baby?» di Salvatores, del 2005, o storie surreali del genere di «Chiedo asilo», opera di Marco Ferreri del 1979. E quando il regista torinese Guido Chiesa venne qui ad allestire le scenografie per gli esterni di «Lavorare con lentezza», nel 2003, i bolognesi che passavano da via Zamboni per un momento pensarono di essere tornati indietro di un quarto di secolo, quando il centro era squassato dalla rivolta studentesca del marzo ‘77 e dai blindati spediti dall’allora ministro dell’interno Cossiga a reprimerla.

Il cinema ha immortalato la città soprattutto nel secondo Dopoguerra, a cominciare da una tappa di «Totò al Giro d’Italia», nel 1948. Cinque anni dopo ecco «Hanno rubato un tram»: Aldo Fabrizi, oltre a indossare la divisa del tranviere protagonista, era anche il regista, dal momento che Mario Bonnard lasciò la cinepresa a metà lavorazione. Le location prescelte sembrano cartoline illustrate degli scorci più caratteristici di Bologna, da piazza del Nettuno a via Castiglione, da via Rizzoli a via Farini, dalla chiesa di Santa Maria dei Servi all’immancabile piazza Ravegnana con le Due Torri. Con un tocco doveroso di realismo, la produzione si soffermò anche sul dopolavoro ferroviario di via Serlio e sul deposito autoferrotranviario «Zucca», «che oggi è sede del Museo della memoria di Ustica», ricorda l’esperto cinefilo Mauro Bonifaccino, consulente della Cineteca nella costruzione dell’archivio.

Nella troupe spicca il nome del direttore della fotografia Mario Bava, che di lì a qualche anno sarebbe passato alla regia firmando il suo primo horror gotico all’italiana «La maschera del demonio», e di uno sconosciuto Sergio Leone, aiuto regista di Fabrizi.

E se il romanissimo Aldo Fabrizi ingaggiava schermaglie provinciali e bonarie con gli indigeni, sfidandoli sulla vera paternità della pasta più tipica del luogo – fettuccine alla romana o tagliatelle alla bolognese? - con Florestano Vancini, quasi dieci anni più tardi, si esce dalla commedia per entrare a gamba tesa nella cronaca più nera: «La banda Casaroli», del 1962, restituisce i misfatti di un gruppo criminale che nel 1950 riempì i giornali di assalti alle banche e omicidi.

La conclusione della storia è a metà fra un «polar» francese e il pulp di Tarantino: dopo l’ultimo, cruentissimo scontro a fuoco con la polizia in via San Petronio Vecchio, due componenti della banda preferiscono suicidarsi piuttosto che finire in manette. Romano Ranuzzi detto «il bello», ferito, si spara alla testa, imitato qualche ora dopo da Daniele Farris, che si infila nel cinema Manzoni prima di farla finita nel buio della sala. Il capo, Paolo Casaroli, anche se crivellato di colpi sopravvive e viene condannato all’ergastolo. Uscirà per buona condotta nel 1979 e morirà in un letto d’ospedale nel 1993. «E’ stato girato in centro, fra piazza Maggiore e piazza Dante – ricorda Bonifaccino – nel cast c’erano Renato Salvatori e un giovanissimo Tomas Milian, era una produzione italo-francese, il secondo film di Vancini».

In «Fatti di gente perbene» del 1974, invece, Mauro Bolognini si ispira a un celebre omicidio verificatosi in città a inizio Novecento, il caso Murri. Nel cast Catherine Deneuve, Giancarlo Giannini, Laura Betti, Paolo Bonacelli, Fernando Rey, e un Kim Rossi Stuart bambino: «A un certo punto del film la Deneuve si reca a Ginevra, ma quello che nella finzione è presentato come il lago Lemano in realtà è una scena girata ai Giardini Margherita, qui a Bologna», rivela il consulente della Cineteca. La lista dei film girati almeno in parte qui è ancora lunghissima: Pier Paolo Pasolini ci è venuto tre volte, per «Comizi d’amore», «Edipo Re» e per le scene di «Salò o le 120 giornate di Sodoma» a Villa Aldini. I fratelli Taviani ci hanno ambientato «I sovversivi», Mario Monicelli «Temporale Rosy». Non poteva mancare un poliziottesco anni 70, «La polizia è sconfitta» di Domenico Paolella.

Infine la Bologna filmata da un bolognese doc, Pupi Avati, che ha cominciato nel 1968 con «Balsamus l’uomo di Satana» e non ha ancora finito, visto che «Il cuore grande delle ragazze» uscirà nel 2012 e sarà quasi il ventesimo: «In alcune scene de “Gli amici del bar Margherita” però il pubblico bolognese non ha riconosciuto la propria città – spiega Bonifaccino -: erano state girate a Cuneo».