Roger Cohen La Stampa 14/7/2011, 14 luglio 2011
SENZA DI LUI I GIORNALI SAREBBERO MENO LIBERI. ECCO PERCHÉ CONTINUO A DIFENDERE RUPERT
Un avvertimento per mettere le cose in chiaro: questo articolo è in difesa di Rupert Murdoch. A conti fatti, in questi decenni ha fatto del bene ai giornali, tenendoli in vita, vigorosi, chiassosi e influenti. Senza di lui l’industria dei giornali britannici avrebbe potuto anche sparire del tutto.
Questa difesa è stata ispirata in parte dal vedere la corsa alla condanna dello scandalo delle intercettazioni, come se questi abusi fossero un’esclusiva di News International (è ancora da vedere) e come se importanti pezzi dell’establishment britannico non c’entrassero nulla. E’ stata ispirata anche dal ricordo del tempo passato con Murdoch 21 anni fa, quando dovevo scrivere un suo ritratto per il New York Times Magazine, e dall’impressione che mi aveva fatto.
Ma prima alcune precisazioni. Innanzitutto, le intercettazioni sono ovviamente indifendibili, oltre che illegali. Secondo: Fox News, la tv Usa fondata da Murdoch, ha contribuito con la sua assordante demagogia di destra mascherata da notizie a polarizzare la politica americana, a erodere il dibattito ragionevole, a delegittimare la ragione stessa e di conseguenza a paralizzare Washington. Terzo, non sono d’accordo con le idee di Murdoch in diversi campi - dal cambiamento climatico al Medio Oriente - dove la sua influenza non è stata positiva.
Perché allora continuo a provare ammirazione per questo signore? La prima ragione è la sua evidente antipatia per le élites, gli establishment consolidati, i cartelli, tutto quello che lui definisce «accento inglese strozzato», in poche parole per tutto ciò che ostacola un comportamento ardito. La sua predilezione per un giornalismo senza vincoli è uno dei motivi per cui la stampa britannica è tra le più aggressive del mondo. E questo è positivo per le società libere.
Un giorno mi disse: «Quando sono arrivato in Gran Bretagna nel 1968, ho scoperto che era maledettamente difficile far lavorare quelli in alto sulla scala sociale. In Australia, mi bastava lavorare 8-10 ore al giorno per 48 settimane l’anno per avere tutto». Gli fu facile, dal 1969 in poi, impossessarsi dei tesori di famiglia dei media. Inoltre, ha spesso mostrato una fiera lealtà verso i suoi uomini e donne, come oggi con Rebekah Brooks, la discussa responsabile di News International, e messo denaro in testate importanti come il Times, che altrimenti erano destinate a sparire.
La seconda cosa che ammiro è la determinazione visionaria e propensa al rischio che l’ha messo a capo della partita della trasformazione dei media nella globalizzazione e nella digitalizzazione. E’ stata la sua abilità di vedere cosa ci sarebbe stato dietro l’angolo a portarlo dai due modesti giornali ereditati dal padre ad Adelaide alla guida di una società con 33 miliardi di dollari di fatturato.
Sì, ci sono stati anche errori, come MySpace, il sito di social media appena venduto per una frazione del suo prezzo d’acquisto. Ma guarderei piuttosto alla media dei successi di Murdoch. Ha scommesso grosso sulla tv satellitare, sulle opportunità globali nello sport, sulla convergenza tra televisione, editoria, intrattenimento, giornali e Internet. Sky e Fox sono due grandi business creati dal nulla e nonostante serie difficoltà. Il detto preferito di Murdoch è: «Non combattiamo per una fetta di mercato. Creiamo il mercato».
Ovviamente, il suo successo genera molta invidia, ed è uno dei motivi per cui gli si è appiccicata l’immagine di un mostruoso Citizen Kane (ma ne avrebbe condiviso la risposta alla domanda sulle condizioni per il suo business in Europa, «Estremamente difficili!»). Il suo successo ha doppiamente generato invidia in Gran Bretagna perché era un outsider che veniva dal «down under», dal «sotto» col quale si definisce l’Australia.
Il Times impressiona con il suo investimento nella copertura delle notizie internazionali, e con la coraggiosa mossa di rendere a pagamento l’edizione online (sì, il lavoro dei giornalisti va pagato). La BSkyB non è la Fox, ma una tv diversificata con trasmissioni anche serie. Nel suo insieme, i media britannici sarebbero stati molto più poveri senza Murdoch. La sua rottura con i sindacati nel 1986 è stata decisiva per la vitalità dell’editoria. Ha trasformato il Times in un formato tabloid quando tutti dicevano che fosse pazzo. Aveva ragione. Ama lo scoop, ama la spazzatura, ma sia il Wall Street Journal che il Times dimostrano che giornalisti seri possono prosperare con lui.
Ora Murdoch è nei guai. Un’acquisizione importante è sospesa alla sua capacità di convincere le autorità britanniche che il management di News Corp è affidabile. Probabilmente dovrà sacrificare la Brooks. Politici che avevano cercato i suoi favori ora cercano di fulminarlo. Il primo ministro David Cameron è imbarazzato. Sia Murdoch che il suo più accorto (e di idee più centriste) figlio James stanno lottando per la salvezza.
Scommetterei su di loro. Quando chiesi a Murdoch quale fosse il segreto della tv, mi rispose: «Seppellire i vostri errori». L’uomo è una forza della natura e il suo instancabile innovare - facendo tutti i conti e ammettendo tutti gli errori - è stato positivo per i media, e per un mondo più aperto.
Copyright Current Year
La «firma» del NY Times Roger Cohen è editorialista del New York Times e International Herald Tribune