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 2011  luglio 14 Giovedì calendario

RITORNA CILE-ITALIA. QUANDO PANATTA MISE LA MAGLIA ROSSA

«Non si giocano volée/con il boia Pinochet». «Panatta milionario/Pinochet sanguinario». Si sentiva anche questo, nelle piazze italiane, in quell’autunno del 1976, oltre a tutto il resto, oltre a tutte le altre follie del decennio più disastroso della storia repubblicana. L’Italia aveva appena conquistato la finale di Coppa Davis contro il Cile. Il Cile di Pinochet, al potere da tre anni, il Cile ostaggio di una delle dittature più spietate della storia, il Cile in finale «saltando» la semifinale per la rinuncia dell’Urss. Una parte del Paese rifletteva su questo, mentre per l’altra Adriano Panatta era un ragazzo (come noi), Paolo Bertolucci la sua fidata spalla, Corrado Barazzutti l’inesauribile settepolmoni, Tonino Zugarelli la nostra arma segreta (sull’erba), Nicola Pietrangeli il capitano di lungo corso. Il destino ama attorcigliarsi alla storia, così, a trentacinque anni da quello storico viaggio verso un paradiso tennistico mai più raggiunto, ecco un altro Cile Italia: undici anni fa la retrocessione; dal 16 al 18 settembre l’occasione per rientrare in serie A (il Gruppo Mondiale). Tutto ritorna (seppur in tono minore). Come allora, troviamo avversari più che abbordabili. Da Jaime Fillol e Patricio Cornejo a Fernando Gonzalez (che ha ripreso ad aprile dopo un’operazione all’anca e che la Davis l’ha sempre giocata pochissimo), Nicolas Massu e Paul Capdeville: sorteggio benevolo, beneauguranti i precedenti (4-0 per l’Italia; ultimo incrocio nel 1985 a Cagliari: 3-1.) Oggi il Cile è una democrazia e partiremo senza discussioni, se non le solite, noiose, interminabili sulla Federtennis, su chi dovrebbe giocare e chi no, sul c. t., Corrado Barazzutti, l’unico che, a distanza di 35 anni, canta e porta ancora la croce. Racconta Panatta nella sua autobiografia: «Ascoltavo quelle urla e ci rimanevo male; non sono mai stato comunista, ma sono sempre stato di sinistra, influenzato da mio nonno Luigi, che fu amico di Nenni. Quei giovani che mi insultavano non conoscevano nulla di me» . L’Italia è divisa. Il governo Andreotti evita coinvolgimenti (come per tutti gli argomenti non rilevanti per la Dc), il Coni glissa, la Federtennis galleggia, molti giornali, compresi grandi quotidiani «borghesi», sono per il boicottaggio. Il fronte del «no» lo guida il Pci. La squadra, con in testa Nicola Pietrangeli, che si batte in tv, nei dibattiti, per strada, è sola. Poi qualcosa cambia. Gino Palumbo diventa direttore della Gazzetta dello Sport e cambia schieramento: «Io sono per l’autonomia dello sport che non deve essere strumentalizzato». Ma decisiva è la nuova rotta del Pci, come ha rivelato, vent’anni dopo, Ignazio Pirastu, allora responsabile della Commissione sport della direzione comunista: «Mi convocarono Aldo Tortorella e poi Enrico Berlinguer e mi comunicarono che i compagni cileni suggerivano di non insistere sul boicottaggio: avevano avuto segnali inquietanti di una reazione contraria del popolo con un compattamento attorno al regime». Contrordine compagni: in pubblico i comunisti urlano «no», in privato dicono «sì». Tra i tessitori si distingue il fresco presidente della Federcalcio (e prossimo presidente del Coni) Franco Carraro. Il 17 dicembre si gioca a Santiago, il clima è surreale, gli italiani super-blindati. Barazzutti batte Fillol e Panatta liquida Cornejo. Due a zero. Tocca al doppio. Panatta e Bertolucci si presentano in campo con le magliette rosse. «Convinsi Paolo che nicchiava. "E fammi fare questa provocazione". Seppi poi di una nota di protesta cilena al nostro governo». Mimmo Calopresti ha fatto un film sulla vicenda («Magliette rosse»), Nicola Pietrangeli si fa una risata ogni volta che la sente: «Ma quale simbolo anti-dittatura! Quelle maglie erano solo scaramantiche». Il bello delle grandi storie è che nessuno le racconta allo stesso modo. Roberto Perrone