Cecilia Zecchinelli, Corriere della Sera 14/7/2011; Guido Olimpio, Corriere della Sera 14/7/2011; Raimondo Bultrini, la Repubblica 14/7/2011, 14 luglio 2011
TRE ARTICOLI SULL’ATTENTATO DI MUMBAI
TRE BOMBE DEVASTANO MUMBAI -
Un macabro regalo di compleanno per Ajmal Kasab? Se lo sono chiesto in molti ieri in India, notando che la data coincideva con il 24esimo anniversario dell’unico terrorista ancora in vita, seppur condannato alla pena capitale, del commando che nel 2008 terrorizzò Mumbai e uccise 166 persone. Ancora nella capitale finanziaria dell’India, ancora morte: ieri tre esplosioni quasi contemporanee hanno ucciso almeno 21 persone, ferendone più di 100. Il momento è stato scelto per fare il massimo di vittime, intorno alle 19 ora locale, quando la gente tornava dal lavoro, mercati e negozi erano aperti, le strade piene. E anche i luoghi: il Zaveri Bazar, il più famoso mercato dei gioiellieri vicino al tempio di Mumbadevi, sempre affollato dai devoti della Dea Madre patrona della città a cui ha dato il nome, chiamata dagli inglesi Bombay. Nello stesso bazar, nel 1993, una bomba fece 17 morti. Poi, sempre nel sud della megalopoli, un’esplosione ha colpito la zona degli affari di Opera House. La terza ha avuto luogo a nord, a Dadar, roccaforte del partito integralista induista Shiv Sena. «L’intera città è in massima allerta, chiediamo a tutti di mantenere la calma» , ha dichiarato il ministro degli Interni dello Stato del Maharashtra, di cui è capitale Mumbai: il ricordo del raid che per tre giorni, nel 2008, rese l’intera città ostaggio di dieci terroristi disposti a tutto è ancora vivo, anche se da allora non si sono registrati altri attentati e turisti e uomini d’affari stranieri sono tornati negli hotel che furono l’obiettivo principale del raid. Condanne, dolore e inviti alla calma sono arrivati anche dalle stelle di Bollywood, nel nord della città. Tra i tanti, l’attrice Priyanka Chopra ha scritto su Twitter: «Una preghiera: non create panico con voci e notizie false» . Ma in tutti è vivo il sospetto che dietro ogni attentato ci sia il Pakistan, da cui arrivò via mare nel 2008 il comando del gruppo Lashkar e Toiba. Nessuna rivendicazione è arrivata ieri, mentre da Islamabad il presidente Asif Ali Zardari e il premier Yusuf Raza Gilani hanno subito condannato gli attacchi ed espresso solidarietà alle autorità indiane. Queste ultime hanno ieri evitato accuratamente le usuali accuse al Pakistan, con il quale sono ripresi in febbraio i colloqui bilaterali sul Kashmir conteso interrotti dopo il 2008, in un momento in cui gli Usa e gli alleati hanno inoltre iniziato il ritiro dall’Afghanistan e l’intera regione attraversa una fase molto delicata. Peraltro non si esclude che autori della nuova strage, compita con mezzi più «artigianali» della precedente, siano i Mujahidin Indiani, che rivendicarono tre anni una serie di attacchi mortali in varie città, da Delhi ad Ahhmedabad, altri più recenti. Un gruppo con sospetti legami con i pachistani, ma indiano. Per il subcontinente è comunque un colpo durissimo. La sua economia cresce con tassi annui superiori all’ 8%, gli investimenti in infrastrutture sono stellari (500 miliardi di dollari nell’attuale piano quinquennale, il doppio nel prossimo), il mondo ancora vittima della crisi guarda all’India e l’India ha bisogno di investimenti e know-how stranieri. Una strage come quella di ieri, regalo di compleanno o meno che sia, è l’ultima cosa di cui «la più grande democrazia del pianeta» ha bisogno.
Cecilia Zecchinelli
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DIETRO LA MANOVALANZA LOCALE L’OMBRA DEI QAEDISTI PACHISTANI -
La nuova strage di Mumbai può essere il gesto di un gruppo locale ma le ripercussioni possono allungarsi sull’asse che tiene insieme India-Pakistan-Afghanistan. Certo, non tutto quello che avviene in questa regione è collegato, però è facile sfruttare i singoli episodi. Così come è possibile manipolare nuclei terroristici. Le occasioni e i candidati non mancano. Fonti dell’intelligence indiana hanno indicato che nell’attentato potrebbero essere coinvolti i Mujahidin indiani. Il sospetto è venuto dal modus operandi e forse dalle rivelazioni di due operativi— coinvolti in un precedentemassacro— arrestati il 6 luglio. A Mumbai sono state usate bombe rudimentali fatte esplodere in diversi punti della città. Gli estremisti, che hanno subito numerose perdite nel corso di questi due anni, contano comunque su numerose cellule nei principali centri urbani. A ispirarli il «Dottor » Shahnawaz— sembra si nasconda negli Emirati — e Abdul Subhan Qureshi, considerato il Bin Laden indiano. Quest’ultimo sarebbe il punto di contatto con gli «Studenti musulmani» (Simi), altra realtà jihadista, e sarebbe tornato di recente nella regione di Mumbai. Altre informazioni ridimensionano il ruolo di Qureshi e sostengono che i Mujahidin sono divisi in quattro «brigate» , ognuna delle quali si muove in modo indipendente. La loro tattica è quella di marcare il territorio con azioni spettacolari ma senza ricorrere ai kamikaze. Gli ordigni in serie seminano il panico, causano danni notevoli se usati in luoghi affollati, mettono in crisi la sicurezza del Paese. È un messaggio di violenza e vitalità che i Mujahidin hanno lanciato nel 2008— attacchi a Bangalore, Delhi, Ahmedabad— e nel 2010 a Pune. Una risposta a quei rapporti di intelligence che li vogliono in difficoltà e senza soldi. Il secondo segmento di indagine riguarda fazioni più importanti — Laskhar e Toiba o Jash Mohammed per citarne alcune — che possono aver agito da sole o in collusione con i Mujahidin, usati come manovalanza. Le formazioni maggiori preferiscono le missioni sacrificali— con attentatori suicidi e lunghe prese d’ostaggi — ma in questo caso si sono affidate ai Mujahidin. L’eventuale coinvolgimento dei «professionisti» — suggerito ad alcuni esponenti indiani — amplia l’orizzonte dell’attentato. Tutti sanno che Lashkar (e simili) hanno i loro rifugi in Pakistan, dove godono della formidabile protezione dell’Isi, il servizio segreto locale, che li usa da anni come arma contro l’India. A fine marzo il governo di New Delhi ha inviato al vicino una lista con i nomi di 50 Most Wanted. Tutti personaggi legati a vicende eversive e che vivono, indisturbati, in territorio pachistano. Tra loro anche alcuni militanti finiti nell’inchiesta sulla strage del novembre 2008 a Mumbai. Presenze scomode denunciate, più volte, anche dall’intelligence americana. I seguaci di Lashkar o dell’Armata fantasma, altro gruppo di ispirazione qaedista, hanno fatto della città indiana il loro bersaglio preferito. È un soft target dove è facile agire, è uno dei simboli del Paese, ha subito colpi a ripetizione a dimostrazione dell’esistenza di un network estremista profondo. Spargendo sangue innocente nel bazar e nelle stazioni, i terroristi sono consapevoli di amplificare l’effetto delle loro incursioni. Gli indiani, in imbarazzo per l’ennesima sorpresa, devono reagire. La comunità internazionale, distratta oggi da mille altri problemi, non può ignorare quanto è avvenuto. In questo scenario gli ordigni esplosi ieri potrebbero entrare, in qualche modo, nella guerra sotterranea che si combatte in Pakistan e Afghanistan, con 007 americani e pachistani che si prendono a schiaffi mentre l’India è un testimone interessato. Lo scontro, aggravatosi dopo l’uccisione di Osama, è scandito da morti misteriose. La strage di Mumbai sarebbe allora una manovra diversiva condotta dai Mujahidin. Senza escludere un’ipotesi più semplice: i terroristi hanno la loro agenda ma vogliono far credere di essere parte di qualcosa di più ambizioso.
Guido Olimpio
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LA MALEDIZIONE DI MAXIMUM CITY, METROPOLI CONTESA TRA MAFIA E TERRORE -
All´ombra del tempio di Mumbadevi dedicato alla dea che dà il nome alla metropoli, tra vicoli di bancarelle odorose di fritture e spezie, luccicanti negozi di gioielli, a ridosso delle stazioni ferroviarie puzzolenti e caotiche dove milioni di abitanti vanno su è giù dall´alba al tramonto. E´ successo ancora qui, come nel 1993, nel 2003, nel 2006, nel 2008. E come allora, la matrice islamica dell´ennesimo attacco terroristico con almeno venti vittime non è la sola a spiegare un´impresa crudele che sembra fatta apposta per acuire le divisioni, le contese per il dominio di Maximum City, la frenetica e sfortunata capitale commerciale dell´India.
Emblema di questa frattura nel corpo pulsante di Mumbai è Zaveri bazar, il quartiere dei gioiellieri già preso di mira tante volte in passato, dove circolano tanti soldi da corrompere governi e comandi di polizia, per non parlare degli uomini che fanno capo a cosche mafiose a loro volta divise tra don musulmani e induisti, come nel celebre romanzo "Giochi sacri" di Vikram Chandra.
Poco di tutto questo traspare dalle prime dichiarazioni ufficiali del governo di Delhi. «È un attacco coordinato dei terroristi», si è limitato a dire il ministro degli Interni Palaniappan Chidambaram, riferendosi senza troppi dubbi all´opera di un commando eterodiretto dal nemico Pakistan.
Fin dalle prime battute delle indagini, i gruppi nel mirino degli investigatori sono infatti come sempre quelli legati alla guerriglia musulmana indipendentista del Kashmir indiano, a cominciare dal Laskar i Toiba e dagli Indian Mujahideen, nuovo nome del fuorilegge Simi (Movimento degli studenti islamici), tutti fortemente sospettati di legami con i servizi segreti pachistani. Ma proprio la complessità della trama di attentati e stragi degli ultimi anni a Mumbai offre diversi scenari che non escludono - seppure in via del tutto teorica - anche la possibilità di un´operazione condotta da frange fondamentaliste hindu. Era già accaduto nel 2006 a Malegaon, una città a nord di Mumbai dove 37 musulmani saltarono in aria per un´esplosione attribuita a militanti ultrareligiosi indiani e pianificata addirittura da ufficiali dell´esercito, coinvolti anche nella strage del 2007 sul "treno dell´Amicizia" Samjhota Express in viaggio dal Pakistan a Delhi.
A far preferire la pista islamica ci sono per ora poche e significative coincidenze. Una delle bombe è infatti esplosa a poche decine di metri dal luogo dove fu arrestato l´unico terrorista ancora vivo del commando che il 26 novembre del 2008 prese d´assalto il Taj Mahal e altri alberghi nel distretto commerciale a sud della metropoli, uccidendo più di 170 persone. Il caso vuole che quel mujahiddin superstite, Ajmal Kasab, abbia compiuto 24 anni proprio ieri, essendo nato il 13 luglio del 1987. Non solo. Cinque anni fa proprio di questi giorni (11 luglio 2006) una serie di bombe, piazzate a calibrata distanza di pochi minuti, fece un numero analogo di vittime tra i pendolari di diversi treni della rete ferroviaria metropolitana. Anche in quel caso la pista portò alle cosiddette "cellule in sonno" della guerriglia indipendentista kashmira.
Ancora più significativo delle date e dei luoghi del terrore è però lo scenario politico nel quale s´incastrano le tante coincidenze di questo nuovo attacco al cuore commerciale dell´India. Come nel passato, gli attacchi giungono sempre alla vigilia di delicatissimi incontri bilaterali tra governo indiano e pachistano (il prossimo era in programma a giorni) per definire una strategia comune sul caso Kashmir, la regione contesa tra i due Paesi fin dai tempi della Partizione del 1947. Ogni volta che gli inviati delle diplomazie nemiche programmano di sedersi attorno a un tavolo di trattativa, una strage blocca o rinvia a tempo indeterminato il processo di pace.
A rendere il tutto ancora più complicato, c´è la speciale posizione strategica di Mumbai che si trova a competere direttamente con la "gemella" pachistana Karachi per il controllo di imponenti traffici commerciali e non solo. Maximum City cela un mondo sotterraneo dominato da boss mafiosi dalle potenti connessioni con il potere politico e finanziario, come Dawood Ibrahim, un don musulmano a lungo protetto dagli 007 pachistani e ritenuto responsabile delle sanguinose stragi di Mumbai del 2003, o Chhota Rajan, suo corrispettivo hindu dai sospetti e strettissimi legami con servizi segreti e gruppi fondamentalisti indiani.
Nell´inquietante gioco delle coincidenze non può essere del tutto esclusa la loro guerra sotterranea che proprio alla vigilia di questa nuova strage ha visto morire sul selciato soci e parenti dei due boss. Anche se nessuno sa per conto di chi si stanno combattendo con tanta ferocia e crudeltà.