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 2011  luglio 14 Giovedì calendario

DAL PREMIER A PERTINI QUELLA CITAZIONE CHE PIACE AI POLITICI

«Hic manebimus optime». Resteremo qui ottimamente. L’esortazione attribuita da Tito Livio (Storia di Roma «Ab Urbe condita», libro V) a un console romano che avrebbe esortato il suo drappello ad accamparsi nei pressi della curia dopo l’incendio di Roma ad opera dei Galli nel 390 avanti Cristo, è diventato uno dei refrain preferiti della nostra politica. I senatori che stavano decidendo se abbandonare Roma presero quell’esortazione come beneaugurante. E restarono. Una frase beneaugurante la deve aver considerata anche Giulio Tremonti. Il quale non ha certo pensato che la stessa citazione venne fatta da Silvio Berlusconi nell’autunno del 1994, per scongiurare il precoce tramonto del suo primo governo. In quell’occasione la matita di Forattini dopo una drammatica consultazione al Quirinale durante le feste natalizie immortalò Berlusconi e Fini che arrampicati su un abete addobbato facevano gli sberleffi al presidente Scalfaro vestito da Babbo Natale. «Hic manebimus optime» disse piccato anche Sandro Pertini quando verso la fine del mandato (1978-1985) volevano farlo sloggiare dal Quirinale precocemente, per evitare quel che si definiva «un ingorgo istituzionale» , cioè tante scadenze politiche assieme. La frase di Tito Livio è stata pronunciata con orgoglio da moderati come Quintino Sella e da rivoluzionari come Gabriele D’Annunzio che nel dicembre 1920 solo le cannonate riuscirono a far sloggiare da Fiume. Un’espressione che piace a destra e a sinistra e si presta anche a qualche variante, come quella apportata da Giovanni Berlinguer, capofila del correntone ds, che nell’ottobre 2002 sbuffò: «Hic manebimus, anche se non optime».