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 2011  luglio 13 Mercoledì calendario

STEFANIA ARIOSTO: «NON CHIEDETEMI SE SONO FELICE»

È donna di decisioni rapide, Stefania Ariosto. La teste Omega del processo sul lodo Mondadori – quella che nel 1995 denunciò il giro di maxi tangenti che gravitava attorno alla conquista della casa editrice – viene da noi contattata al numero di cellulare che ha pubblicato sul suo sito, Ariostosfefania.com, una pagina Web che si apre con un ritratto della signora scattato da Bob Krieger e un cuore rosso che ruota su se stesso. E, in due secondi, decide di parlare: la sua prima intervista a un giornale dopo la sentenza con cui la Corte d’Appello di Milano - stabilito che Silvio Berlusconi ha corrotto i giudici per strappare la Mondadori alla Cir di Carlo De Benedetti - ha condannato la Fininvest del premier al risarcimento di 560 milioni di euro alla stessa Cir.
Che effetto le fa sapere che Berlusconi e la Fininvest sono costretti a pagare, a 16 anni dalle sue prime rivelazioni?
«Non sono affatto dispiaciuta. Anzi. In questa vicenda sento di aver pagato più io che Berlusconi. Mi sono dovuta difendere dalle diffamazioni messe in atto nei miei confronti, sono stata presente in 2.500 udienze, per sette anni ho lavorato gratis per lo Stato perché si arrivasse a riconoscere le mie testimonianze. Sono stata minacciata, hanno tentato di investirmi qui vicino, a Como, con una macchina bianca, mi hanno fatto recapitare un coniglio morto e sanguinolento. Ma non mi sono mai tirata indietro. Volevo giustizia».
Dopo tante ore passate in Tribunale, conosce a fondo i codici della Legge.
«Sì: mi sono anche laureata in Giurisprudenza, e faccio parte dell’Ordine degli avvocati di Como. Ho studiato perché volevo capire bene che cosa mi stava succedendo intorno ai processi, volevo prevedere le mosse degli altri avvocati, quelli avversari, e preparare le mie».
Scusi se glielo chiedo, ma chi gliel’ha fatto fare?
«Nella mia vita ho avuto dolori più grandi di me, profondissimi, totali. Ho perso due bambini nati dal mio primo matrimonio. Prima Alfonso, poi Fabio Valerio. Erano bellissimi, biondini, dolci. Avevano pochi mesi. Sono morti per una malattia metabolica. Adesso avrebbero quarant’anni, sarebbero vicini a me (gli occhi le diventano rossi, ndr). E adesso i miei figli mi mancano. Che cosa vuole che mi importi affrontare giudici, avvocati, tensioni? I tormenti feroci che ho vissuto rendono tutto il resto più piccolo».
Avrebbe potuto chiudersi in se stessa.
«Invece ho reagito. Sono fortemente laica e, in fondo, ottimista. I miei figli sono sempre dentro di me, a darmi energia. Dopo averli persi, sono partita per la Guinea Equatoriale: due anni di volontariato. Lì mi sono distaccata dai miei problemi privati, e ho ripreso a vivere».
Poi è tornata in Italia.
«Mi sono risposata, e ho perso anche la bambina che aspettavo dal secondo marito. Ero al settimo mese. Si sarebbe dovuta chiamare Domizia».
È il periodo in cui si è messa a giocare al casinò.
«Una sera che avevo litigato con mio marito ho preso la macchina e, per cambiare aria, sono andata a Campione. Ho perso parecchio, mi sono lasciata tirare dentro, per un anno non ne sono più uscita. Finché, un giorno, sono scappata di nuovo: in bici, a Milano, con il mio cagnolino Jennifer. Ho raggiunto Carlo, mio fratello, che aveva un negozio di antiquariato in via Montenapoleone. Lì ho ricominciato un’altra vita, piena di incontri. Leonardo Mondadori, politici, soprattutto
artisti…».
Ed è venuta a contatto con il mondo di Berlusconi.
«È successo a Perugia quando, chiamata per una conferenza, ho conosciuto Vittorio Dotti, avvocato di Berlusconi».
E si è legata a lui.
«Per dieci anni. Non è stato un bell’incontro. Dotti mi ha fatto conoscere un universo che non ho amato. Un mondo di non-valori, dove solo gli interessi sono al primo posto. Io ero cresciuta con principi liberali, democratici: la mia libertà non deve ostacolare quella degli altri».
Perché, il mondo di Berlusconi come era?
«A quelle cene che frequentavo, certo, lui regalava gioielli alle signore, e altre cose agli uomini, ma era come una forma di potere anche quello, una specie di dominio del regalo. Ero l’unica che invece portava un dono anche a sua moglie, Veronica Lario: una volta un’anforetta di alabastro, un’altra due specchiere rosse. Era un po’ per rompere il monopolio dei doni di Berlusconi, un po’ perché Veronica mi sembrava l’unica vera, normale».
Si spieghi.
«Era sempre in disparte, taceva. Mi sembrava dissentisse, come me. Era ed è una donna dolce, adora i figli, cucinare. Aveva fatto costruire cassetti in legno, vicino ai fornelli, per contenere la pasta fatta a mano: tortellini, tagliatelle, quadretti. Amava le cose semplici, non quei discorsi fatti alle cene: affari, sempre affari».
Potevate ribellarvi.
«Lei lo ha fatto, e lo sappiamo tutti: con classe, anni dopo. Di quel periodo ricordo i cori alle cene: Confalonieri al piano, Berlusconi che cantava, il resto a fare il coro. C’erano Cesare Previti, Ennio Doris, tanti altri. Io stonavo volutamente per rompere con la compagnia. Così, dopo i regali a Veronica e le stonate, tutti mi guardavano come la ribelle del gruppo».
Poi c’è stata la vera ribellione.
«Con Dotti non andava più tanto bene. Lui aveva problemi fisici. Cercai di lasciarlo, ma non voleva. Facemmo un viaggio in Polinesia con Francesco Micheli, Dotti era geloso di un marinaio. Era così nervoso che, quando in un ristorante feci per portare via un posacenere, mi prese di petto, mi disse che ero una ladra. Non ci vidi più: gli risposi che i ladri erano loro, loro che stavano attorno a Berlusconi. Loro che per vincere una
causa avevano persino corrotto i giudici. Era la fine del 1994».
A chi si riferiva?
«Mia sorella era fidanzata con l’altro avvocato di Berlusconi, Previti. Con lui ci vedevamo a Roma. Un giorno, passando al suo studio, avevo visto circolare parecchi soldi sulla sua scrivania. E poi, avevo sentito molti discorsi».
Dotti, quando lei gli parlò di quegli episodi di corruzione, diede a vedere che ne sapeva qualcosa?
«A suo dire, no. Però, per qualche motivo, non mi mollava più. Anche se non facevamo più l’amore, mi voleva sempre al suo fianco».
Quando ha deciso di parlare con i giudici e, soprattutto, perché?
«Non sopportavo più quel mondo. Ma si può dire che sia stato Dotti a trascinarmi, quasi, a fare quelle confessioni ai giudici».
Per quale motivo?
«Chissà: che volesse prendere il posto di Previti? Quello che so è che, per un cassettone Luigi XVI e alcune seggiole che gli avevo venduto, mi ha girato un assegno sospetto che arrivava dalle parti di Berlusconi. Il giorno dopo mi sono vista arrivare a casa il colonnello Falorni della Finanza, che mi ha chiesto spiegazioni».
Che rapidità.
«Ecco. Allora ho capito che Dotti mi aveva messa dentro un gioco da cui era difficile uscire. Sono sicura che mi abbia usata per colpire Previti mandando avanti me, senza metterci la sua, di faccia. Ma a quel punto non potevo fare altro che giocare fino in fondo. Con forza, come una sfida. Ho cominciato a raccontare ai giudici delle tangenti. Mi hanno dato la scorta. Era il 1995. Da lì è cambiata di nuovo la mia vita».
Quando sono uscite le notizie sulle sue ri- velazioni, nel 1996, poco dopo Romano Prodi ha vinto le elezioni. Lei ha fatto il gioco del centrosinistra.
«Allora non m’importava davvero».
Che effetto le fa leggere, oggi, delle cene di Arcore?
«Non m’importa niente di Ruby e compagnia, è vita privata. Ai miei tempi Berlusconi non era così. Dopo l’addio di Veronica, avrebbe potuto essere discreto, invece ci ha tenuto a dimostrare che, nonostante l’intervento chirurgico che ha subito, può sempre avere donne. Ma perché confondere la Cosa pubblica con quella privata? Perché dare incarichi istituzionali a una come la Minetti?».
Signora Ariosto, non è che adesso vuole mettersi in politica?
«Ah, vorrei fare il presidente del Consiglio».
Scherza, vero?
«Mica tanto. Con persone come Pisapia (sindaco di Milano e avvocato di De Benedetti, ndr), la Bindi, la Bongiorno, la Melandri e altri giovani presi dall’università, potremmo far ritrovare il senso dello Stato. Che ci vuole?».
Adesso che Berlusconi è punito con il risarcimento, si sente sollevata?
«Vediamo come va a finire. Ma non so se sono felice. Sono sola, questo sì».