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 2011  luglio 12 Martedì calendario

PAGARE I DEBITI CON L’ORO

L’Italia è ai primi posti nel mondo, grazie alle sue 2.451,8 tonnellate di riserve auree detenute. E pure essendo un Paese aderente all’Unione Europea, il nostro Paese potrebbe permettersi di cedere anche più di un terzo dell’oro posseduto, visto che il valore di questo «bene rifugio» è triplicato sui mercati mondiali. Quindi potrebbe ricavare una somma ragguardevole per coprire almeno una parte del deficit pubblico, poiché uno Stato, nei momenti di bisogno, fa meglio a vendere i gioielli di famiglia anziché caricare i cittadini (specie i più bisognosi) con ulteriori aumenti di tasse, alcune delle quali vengono indecorosamente spacciate per «rimodulazioni»!
Giovanni Papandrea
giovannipapandrea@iol. it

Caro Papandrea,
Il problema dell’utilizzo delle riserve auree è stato sollevato da Daniel Eckert e Holger Zschäpitz in un articolo pubblicato dal quotidiano tedesco Die Welt del 28 giugno. Secondo i dati raccolti dai due studiosi, l’oro depositato nelle banche centrali dell’Eurozona ammonterebbe complessivamente a 375 miliardi di euro. La Grecia, in particolare, ne avrebbe per quattro miliardi e il Portogallo per tredici. Sono somme considerevolmente inferiori a quelle di cui i due Paesi hanno bisogno per il risanamento dei loro conti pubblici, ma rappresentano pur sempre un gruzzolo che può, se usato al momento opportuno, dare un po’ d’ossigeno all’economia nazionale. Esistono tuttavia alcune difficoltà.
In primo luogo il mercato dell’oro è uno strumento da maneggiare con grande delicatezza. Il valore del lingotto non è dettato soltanto dalla legge della domanda e dalla sua natura di bene rifugio, particolarmente apprezzato nei momenti difficili. È condizionato anche dall’esistenza di un oligopolio dei fornitori che si accordano generalmente sulla quantità dei lingotti con cui rifornire il mercato. Se i Paesi afflitti dai debiti svuotassero le loro riserve, il mercato potrebbe dare per possibile un eccesso d’oro e il prezzo potrebbe scendere. È vero, tuttavia, che vi sono state circostanze in cui i governi hanno potuto utilizzare l’oro delle riserve per superare una fase critica. È accaduto all’Italia nel 1974 quando il primo choc petrolifero costrinse il governo a negoziare con la Germania un prestito garantito dall’oro. La Bundesbank assicurò alla Banca d’Italia una linea di credito per due miliardi di dollari contro il deposito di una quantità d’oro pari a 540 tonnellate. L’oro fu trasferito soltanto contabilmente e l’operazione venne definita un «prestito su pegno». Il debito fu estinto qualche anno dopo.
Oggi, per un Paese dell’Eurozona, quell’operazione non sarebbe più possibile perché il trattato istitutivo dell’Unione monetaria afferma solennemente il principio dell’indipendenza delle banche centrali e impedisce così ai governi di mettere le mani sulle loro riserve. È vero che non tutti i sacrosanti principi dei trattati sono stati sempre scrupolosamente osservati, ma il principio dell’indipendenza è fra quelli a cui la Germania, e naturalmente la Banca centrale europea di Francoforte, attribuiscono la massima importanza.