Varie, 13 luglio 2011
IL FATTO DI IERI - 13 LUGLIO 1954
La Casa Azul di Coyoacàn, ha conservato gli antichi colori. I rossi, i verdi e quel blu maya che Frida Khalo amava tanto. Nella grande casa con gli amati pappagalli e scimmiette, Frida, pittrice e pasionaria messicana, era morta il 13 luglio ‘54, dopo essere già stata “assassinata dalla vita” come aveva scritto nel suo diario, autoritratto visionario come le decine di quadri dedicati a se stessa, “…la cosa che conosco meglio”. Frida, capace di trasformare i suoi incubi in simboli surreali, di rendere astratto il mostruoso. Nei suoi dipinti, febbrili e terrifici, c’è tutto il calvario del suo corpo. Martoriato a sei anni dalla poliomielite e poi frantumato da un corrimano che, in un incidente d’autobus, le trafigge la colonna vertebrale, il bacino, l’utero. Costretta a diventare “ocultadora” delle sue cicatrici, del suo corpo intero, mascherato in enormi, variopinti abiti indigeni tehuani, come per un’interminabile fiesta. Frida dal bel volto luminoso, due volte sposa del muralista Diego Rivera, amata da Trotskij, adorata da Picasso e Bréton, pasionaria comunista, avida di vita, di pittura, di sesso. Morta di cancrena e finalmente in pace col suo corpo, raccolto in cenere in un vaso precolombiano