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 2011  luglio 13 Mercoledì calendario

Così l’aquila americana si prepara all’assalto finale del drago cinese - Da noi il dibattito si ec­cita- e non senza mo­tivi - sugli aspetti economici della glo­balizzazione

Così l’aquila americana si prepara all’assalto finale del drago cinese - Da noi il dibattito si ec­cita- e non senza mo­tivi - sugli aspetti economici della glo­balizzazione. Negli Stati Uniti e nell’«appendice» culturale bri­tannica ci si concentra anche molto sugli aspetti politico-mili­t­ari del rapporto tra declino ame­ricano e crescita cinese. Henry Kissinger ( On China , The Penguin Press, 2011) inter­viene con autorevolezza in un di­battito già ravvivato da due gior­nalisti inglesi: l’ex direttore dell’ Econo­mist Bill Em­mott con Ri­vals ( Mariner Books, 2009) e Martin Jac­ques, editoriali­sta del Guar­dian , con When China rules the wor­ld (The Penguin Press, 2009). Tra le analisi dell’antico regi­sta (nonché studioso) della di­plomazia americana, Kissinger, e Jacques (già direttore negli an­ni Ottanta della rivista teorica dei comunisti britannici Marxi­sm today ) c’è più di un punto co­mune. Innanzi tutto il peso della «sto­ria »: l’affermarsi del Regno di Mezzo (in mandarino Zhong­guo da cui il nome di «Cina» as­sunto nel 1000 avanti Cristo), l’unificazione dell’impero con Qin Shi Huang nel 200 a.C., con la conseguente assimilazione della popolazione da parte del gruppo etnico Han. Conta la tra­dizione culturale sia confucia­na sia di Sun Tzu e della sua Arte della guerra . Il conser­vatore realista così come il giornali­sta radicale insi­stono nel consi­derare la­tradizio­ne millenaria ba­se per ogni giudi­zio sul presen­te. E invitano a valutare il «se­colo dell’umi­liazione » (tra la metà dell’Ot­tocento e la me­tà del Novecen­to) da parte di occidentali e giapponesi co­me elemento centrale per valu­tare la Pechino di og­gi. Kissinger è deli­zioso anche per co­me riporta gli stralci delle sue conversazioni con Mao, Zhou Enlai, Deng, Jiang Zemin nella sta­gione di rapporti sino- america­ni aperta nel 1972. Jacques è ric­co di dati economici. Comun­que il focus di entrambi è su co­me sarà l’ordine mondiale man mano che la Cina diventerà la prima potenza economica mon­diale (avvenimento previsto ­con tutta l’approssimazione che hanno le analisi di lungo pe­riodo - per il 2050). Su questo in­terviene anche Emmott, però non con un approccio principal­mente storico, bensì comparati­vo verso le altre grandi potenze asiatiche, cioè l’India e il Giap­pone. In particolare Kissinger e l’ex direttore dell’ Economist si chie­dono quanto il quadro globale oggi corrisponda a quello euro­pea di fine Ottocento, quan­do la supremazia britan­nica venne sfidata dai tedeschi anche nel campo del controllo delle risorse strategi­che. L’ex segretario di Stato di Ri­chard Nixon ricorda in proposi­to il «memorandum» che un diri­gente del ministero degli Esteri britannico, Eyre Crowe, scrisse nel 1907 nel quale si spiegava co­me la crescita della potenza te­desca (dalla flotta all’egemonia in Europa) era di per se stessa (al di là dei sentimenti pacifici o me­no di Berlino) una sfida all’impe­ro britannico e avrebbe portato alla guerra. Il vecchio diplomati­co ritiene che costruendo una Comunità del «Pacifico», lavo­rando sulle singole questioni con spirito pratico, tenendo con­to della lezione devastante della stessa Prima guer­ra mondiale così ben prevista d a Crowe, sarà possibile evitare che la mancanza di un vero equi­librio mondiale determini di per sé un conflitto. Jacques che rispetto a Kissin­ger ed Emmot è animato da un più forte spirito di colpa occiden­t­ale e da un certo antiamericani­smo, è abbastanza sincero ri­spetto alle tendenze di fondo di Pechino: il radicato spirito di su­periorità non privo di elementi di razzismo,l’uso della forza sen­za troppi scrupoli (ricordato an­che da Kissinger nei rapporti con la Corea nel 1953, l’In­d i a nel1962, laRus­sia nel 1969, il Vietnam nel 1978),l’attitu­dine di fondo da «Regno di mezzo» ad ave­re rapporti con i vicini come dei «tributari». Però ri­tiene possibile un equi­librio che eviti la guerra. Meno ottimista degli altri saggisti,Emmott sottolinea l’in­cremento di spese militari cine­si che di per sé potrebbe spinge­re a guerre e la possibilità che la crisi scoppi grazie a uno dei tan­ti «buchi neri» del Continente asiatico, dal Pakistan alla Co­rea del Nord, al Myan­mar. Al di là delle con­clusioni più o me­no inquietanti, è notevole nei di­versi saggi lo sfor­zo di fornire una visione generale realistica di co­me l’ascesa della Cina condizioni la realtà mondiale. Anche la nuova at­tenzione (film e vari sag­gi) per Gengis Khan e Tamer­lano e la loro funzione nel mo­dernizzare il mondo riaprendo la via della seta dalla Cina all’Eu­ropa, si lega al dibattito su Pechi­no. Non manca, in questo sen­so, chi ricorda come i mongoli oltre che far funzionare me­glio le comunicazioni, am­monticchiassero pira­midi di teschi di uomi­ni, donne e bambine delle città che resisteva­no. A chi fa osservazio­ni di questo tipo su Or­da d’oro&Co. vanno comparati i saggi­sti che riflet­tono sul « lato oscuro» del­la Cina. Così Richard Mc­ Gregor del Fi­nancial Ti­mes con il suo The Party ( editore HarperCol­lins, 2010) che descrive il modo autoritario e miste­rioso del sistema comunista ci­nese, tema anche di The Beijing Consensus di Stefan Halper ( edi­tore Basic Books, 2010), studio­so già impegnato nell’ammini­strazione di Nixon e oggi al Ma­gdalene College di Cambridge.