Morya Longo, Il Sole 24 Ore 13/7/2011, 13 luglio 2011
ISTITUTI SOLIDI, BILANCI SANI MA IL RISCHIO È LA CRISI DEL POLLO
Longo Quando si temeva per l’influenza aviaria, scoppiata in Cina, a soffrire era anche il mercato del pollame in Italia. Motivo: in pochi si azzardavano a mangiare carne di pollo e i produttori faticavano a venderla. Poco importava se medici e autorità assicurassero che fosse sicura: predominavano il panico, la logica del «meglio evitare», il retropensiero del «se la mangino loro». Lo stesso è successo con la carne di manzo ai tempi della mucca pazza, per le bistecche di maiale quando è scoppiata l’influenza suina, per i cetrioli più recentemente: il panico, da solo, può mettere in crisi mercati solidi, consolidati. Industrie sane. Alle banche italiane, in questi giorni, è successo lo stesso: tra panico e speculazione, gli investitori di tutto il mondo fuggivano dalle loro azioni. Sapevano che gli istituti di credito della Penisola sono solidi. Ma prevaleva la logica del «meglio evitare». Il problema è che, come per il pollo, se questa logica dura per troppo tempo anche i più forti soccombono.
A dimostrare la solidità degli istituti di credito italiani sono i dati. Non opinioni. Iniziamo da alcuni calcoli effettuati da Bain, società di consulenza che ha passato al setaccio i bilanci dei primi 30 istituti europei e dei primi sei in Italia. Se le nuove regole di Basilea 3 entrassero in vigore oggi (in realtà lo faranno nei prossimi anni) per soddisfare i suoi requisiti le banche europee dovrebbero aumentare il capitale di 90 miliardi e incrementare i "cuscinetti" di liquidità (quelli creati per resistere a situazioni di stress) di 700-800 miliardi.
Ebbene: all’interno di questi numeri, le banche italiane si trovano con un gap di capitale di 15 miliardi (una discreta fetta del totale) e con un gap di liquidità di 21-24 miliardi (solo il 3% del totale). Questo significa che sono un po’ indietro sul primo fronte, ma decisamente forti sul secondo. Siccome il crack di Lehman Brothers ha insegnato che a distruggere una banca non è la mancanza di capitale, ma la scarsità di liquidità che le impedisce di far fronte alle scadenze immediate, si può trarre una conclusione rassicurante: le banche italiane – secondo i calcoli di Bain – sono messe meglio di quelle europee.
Se si osservano i dati di R&S Mediobanca, si raggiunge lo stesso risultato. Deutsche Bank ha in bilancio titoli tossici per un ammontare pari al 134% del suo patrimonio netto tangibile. La belga Dexia è ancora peggio: i titoli tossici nel suo bilancio sono sei volte superiori al capitale. In Italia la banca "peggiore" da questo punto di vista, cioè UniCredit, non arriva al 25%. Ben sotto la media europea. Un vantaggio italiano. Stesso discorso per la leva finanziaria, quel meccanismo che aumenta i profitti quando le cose vanno bene e moltiplica le perdite quando vanno male. Le banche italiane ne fanno ben poco uso, rispetto alle concorrenti estere. Certo, hanno un grave problema di crediti deteriorati, sono un po’ indietro in fatto di capitale, faticano a tenere il passo sulla redditività. Ma i loro conti, dal punto di vista della solidità, non sono in crisi. Tutt’altro.
Il problema è che le banche soffrono per il rischio–Italia. I loro bilanci interessano meno agli investitori della loro nazionalità. E se il panico sull’Italia dovesse durare a lungo, per gli istituti il costo del debito diventerebbe insostenibile. Anche i bilanci solidi prima o poi farebbero acqua. Ecco perché serve una reazione politica, a tutela del paese Italia, immediata. Il rischio, altrimenti, è di fare la fine dei polli.