Giorgio Dell’Arti, La Stampa 13/7/2011, 13 luglio 2011
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 124 - SVEGLIA ALLE QUATTRO
Cavour primo ministro.
Cavour era ormai quello delle figure, grasso e brutto.
Siamo nel 1852?
I pittori hanno forse esagerato certi tratti, calcato su determinate pieghe. Bisognava renderlo grave, maestoso. I pittori, gli scultori l’avrebbero messo volentieri a cavallo, un uomo così piccolino e per giunta sferico, che andava alla Camera e chiedeva a tutti: è italiana la tal parola? si può dire la tal frase? Parlino, dicano, io devo sapere! Sì, era il 1852.
Sarà stato felice, eh? Il sogno di tutta una vita era coronato.
Si alzava alle quattro del mattino, come al solito. Disbrigo della corrispondenza fino alle nove. Poi una tazza di tè con due uova e passeggiata fino al ministero. Qui lo temevano. Faceva ispezioni improvvise, non sopportava di non esser capito o che si lavorasse piano. Alle sei del pomeriggio, quando rientrava a casa, era solo. A cena Gustavo si sedeva in mezzo, al posto che spettava al capofamiglia. A casa il fratello, cadetto, doveva in qualche modo stare agli ordini. Ainardo accanto al padre, sulla destra. A destra di Ainardo l’amministratore Rinaldi. Cavour non poteva soffrire questo tizio, a cui Gustavo s’era affidato completamente. Il conte non riuscì mai a sbarazzarsene.
Gli altri erano tutti morti, mi pare. La casa doveva esser vuota.
Sì, come abbiamo detto, Vittoria era morta nel ‘49 e Michele le aveva eretto un piccolo monumento nella cappella, dove la si vedeva inginocchiata a pregare col marito Clermont-Tonnerre. Vittoria era morta col cervello in acqua, la Marina invece - cioè la nonna Filippina - restò lucida fino all’ultimo. Non resse di sicuro alla morte del nipote a Goito. Michele a sua volta patì la scomparsa della madre. Aveva quasi settant’anni. Questo palazzo per la prima volta praticamente senza donne...Giuseppina si sarebbe presto sposata (e il marito, un’altra delusione). Anche per questo il marchese tornò a insistere con Cavour per un matrimonio, pigliati questa bellissima marchesa Scati, il conte stavolta era anche d’accordo, ma lei disse di no. Il vecchio padre pretendeva ancora che si desse un senso a quella proprietà di Trofarello comprata quindici anni prima. Morì poco prima di vedere il figlio ministro.
Stava dicendo della giornata di Cavour.
Da vedere lo studio, una stanza invasa da documenti d’ogni tipo, foglietti d’appunti, atti parlamentari. Il conte ammucchiava le carte dove capitava. Quando ebbero invaso il tavolo, sulle poltrone. Quando le poltrone furono colme, per terra. Ce n’era fin negli angoli. Entrando bisognava camminare con prudenza per non disfare le pile con qualche calcio. Se aveva bisogno di spazio spostava i mucchi. Dopo cena gli piaceva fumarsi un sigaro e appisolarsi in poltrona. S’intende, prima doveva sgomberare, non c’era un centimetro per sedersi.
Quell’Ainardo che ha citato prima?
L’altro figlio maschio di Gustavo. Dopo la morte di Augusto a Goito era quello a cui spettava il titolo. Una delusione completa. Faceva la guerra al padre, a tavola non diceva una parola. Era talmente chiuso di carattere da risultare inservibile. Quando viaggiava, Cavour ogni tanto se lo portava dietro, ma era inutile, non rispondeva ad alcuna tenerezza. Il conte ne soffriva parecchio, specialmente se lo confrontava col povero Augusto. Il conte non aveva forse bisogno di una moglie, ma gli mancava di sicuro un figlio. Si faceva prendere da affetto per qualche giovane sciagurato, privo di speranze. Un Angelo Fioruzzi che s’innamorava, voleva combattere per i turchi, andare ad insegnare in Inghilterra e lui gli dava denaro senza sosta, aprendo i cassetti diceva: «Ma io non sono Rothschild, eh? Lei lo sa, non è vero, che io non sono Rothschild?». Anche Nigra Costantino, volontario del ministero degli Esteri, fece carriera in primo luogo grazie alla solitudine del conte. Molti anni dopo, Cavour credeva di essere stato tradito e gridava, con le lacrime agli occhi: «L’ho amato come un figlio! Come un figlio!».
Questo è il Nigra-Nigra, quello della contessa di Castiglione? Come entra in scena?
L’aveva scoperto Massimo d’Azeglio. Un’estate che era ancora al governo, e andava come al solito a Cornigliano per curarsi la ferita di Vicenza, chiese un segretario che gli sbrigasse la corrispondenza, e dal ministero degli Esteri gli mandarono questo Nigra. Massimo era meravigliato della sua bellezza, e di come fosse serio e scrivesse ordinato. Al tempo in cui Cavour lavorava ai trattati di commercio, Nigra faceva su e giù tra gli Esteri e l’Agricoltura, dato che i due dicasteri erano ugualmente interessati a quegli accordi. Così il conte lo conobbe. Gli diceva: ci sarebbe da dir così, da esprimere la seguente idea. Nigra scriveva. Cavour era sorpreso perché l’altro sembrava capirlo anche al di là delle sue intenzioni. Divenuto presidente del Consiglio lo fece promuovere applicato di 4a classe con mille lire l’anno di stipendio. Nigra fino a quel momento aveva lavorato gratis, com’era obbligatorio nei primi gradi della carriera nello Stato.