Varie, 12 luglio 2011
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Vagheggi Paolo
• Arezzo 1 aprile 1951, 3 ottobre 2009. Giornalista • «[...] un giornalista serio (“La Nazione” e poi “Repubblica”), capace di conquistarti con la stessa efficacia attraverso una brutta storia di nera o una bella mostra d’arte. Con gli anni [...] era diventato bravissimo a raccontare di Biennali, aste, rassegne (l’appuntamento con la sua pagina del lunedì su “Repubblica” era una scadenza con la quale bisognava sempre fare i conti): mai cattedratico o ampolloso, senza tanti gingillamenti (come avrebbe detto lui), pieno di passione e intelligenza. [...]» (Stefano Bucci, “Corriere della Sera” 4/10/2009) • «[...] Era nato ad Arezzo, aveva vissuto lungamente a Firenze e poi a Roma. Professionalmente cominciò come cronista di nera alla “Nazione” di Firenze, poi passò a “Repubblica” e qui i suoi interessi cominciarono a orientarsi verso il mondo dell’arte, che affrontò con umiltà e tenacia. Nel suo lavoro di giornalista e di critico fu esemplare. Raccontava quello che vedeva con la cura del dettaglio e l’insofferenza per ciò che è generico, vago e criptico come a volte sa essere il linguaggio della critica d’arte [...] fu abitato da un furore che era innamoramento per il suo mestiere e per le persone e gli artisti che col tempo aveva conosciuto. In qualunque circostanza si trovasse sembrava sempre essere a suo agio: una postura naturale, dissacrante e generosa. [...]» (Antonio Gnoli, “la Repubblica” 4/10/2009) • «[...] La sua avventura inizia con la consueta laurea in giurisprudenza che gli permette di prendere tempo e guardarsi intorno. Va via di casa giovanissimo, comincia ad occuparsi di antiquariato, inizia poi a scrivere per l’Avvenire e la Nazione, per approdare infine alla Repubblica, di cui diventa prima responsabile delle pagine toscane per poi arrivare a Roma, dove in seguito ricoprirà il ruolo di curatore delle pagine dell’arte [...] In pochissimo tempo acquista familiarità con l’arte contemporanea e uno sguardo che si fa velocemente sicuro per senso dell’avventura e piacere del gioco. Allo stesso tempo ben consapevole del meccanismo economico e relativi indotti mondani, volge la sua attenzione in particolare al sistema globale dell’arte e inizia una decisa marcia di avvicinamento agli eventi artistici più prestigiosi e ai fenomeni più clamorosi del presente. Con altrettanta sicurezza, senza lasciarsi scadere a una generica curiosità instaura legami progressivi e selettivi con gli artisti. Mantenendo il suo inconfondibile sospetto per certe manifestazioni di eccentricità, osserva con quasi pregiudiziale attenzione le opere e i protagonisti e più in generale le evoluzioni dell’intero sistema dell’arte. [...] Figlio di un capostazione ha amato il viaggio e la sosta veloce, magari con il gusto di essere il primo incursore. I passeggeri del suo convoglio sono negli anni sempre più selezionati e a volte difficili: lo testimonia il suo libro Contemporanei che raccoglie un ventaglio di varie generazioni di migliori artisti internazionali. Storico involontario, ha affrontato con passione e impassibile misura gli intrichi e intrighi del mondo delle mostre, senza mai perdere di vista la complessità del tempo presente. Dunque mai apologetico, non ha mai glorificato niente e nessuno, Paolo l’aretino. Spesso aspro, usava un approccio larvatamente in posa da combattimento, una tattica pressoché erotica. I suoi scritti [...] non sono mai stati pura cronaca, se mai portavano le impronte di un testimone a carico, temperato da un che di scontroso e scettico che ne ha formato il gusto senza prevenzioni. L’altro, l’artista, l’amico è sempre stato nella vita e nel lavoro di Paolo un problema di partenza e motivo di viaggio. Così il suo modo di fare giornalismo fortunatamente non è mai stato provinciale e anglosassone, cioè mentale e impersonale, mai quella certa posa oggettiva e notarile di chi presume trovarsi al di sopra delle parti, al riparo dal gioco. [...]» (Achille Bonito Oliva, “la Repubblica” 5/10/2009).