Varie, 12 luglio 2011
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PodlechMichaud Alfonso
• Cile 1935 (~) Ex procuratore militare di Temuco, arrestato nel luglio del 2008 a Madrid su mandato di cattura internazionale, nel luglio 2011 la Corte d’Assise di Roma lo assolse dall’accusa di aver fatto uccidere nel settembre 1973 (pochi giorni dopo il colpo di stato di Pinochet) il sacerdote italo-cileno Omar Venturelli • «[...] Capitolo primo [...] L’11 settembre 1973, il golpe di Pinochet appena consumato, Omar Venturelli e la moglie Fresia Cea sentono i propri nomi scanditi alla radio: hanno otto ore di tempo per presentarsi in caserma per una “registrazione”. “Vado io per prima”, dice Fresia. Omar resta in casa con la bimba di un anno e mezzo. A essere convocati dalla voce dei militari sono in questa fase professori, intellettuali, studenti. Ex sacerdote sospeso “a divinis” dopo le battaglie per la terra agli indios, già dirigente dei Cristiani per il Socialismo, Omar insegna Pedagogia all’Università cattolica di Temuco. Nelle ore concitate che seguono la battaglia alla Moneda e il suicidio di Allende, i dettagli — e gli orrori — del regime non sono ancora nitidi. Fresia arriva in caserma, capisce che non si tratta di burocrazia, scappa. Non riesce a comunicare con Omar, che ha però intuito il pericolo e per due giorni si nasconde. I comunicati radiofonici iniziano a cercarlo con maggiore insistenza, “vivo o morto”. Finché il padre lo convince a consegnarsi. Italiano della provincia di Modena, pioniere della colonia di Capitan Pastene nel Sud del Cile, Roberto Venturelli è un uomo di destra, convinto della pericolosità del governo Allende e delle buone intenzioni di sicurezza e difesa della proprietà del nuovo regime. Ignaro dei metodi sanguinari, è lui stesso ad accompagnare il figlio in caserma. Non lo rivedrà mai più. Il 4 ottobre 1973 Podlech firma per Omar Venturelli l’Orden de Libertad n.52 con il quale si chiede il rilascio del professore. Una settimana dopo, un giovane militante di sinistra condotto in cella al passaggio in un corridoio sente la voce disperata di un uomo: “Mi chiamo Omar Venturelli, fate sapere che sto morendo”. Desaparecido, come tremila altri. Podlech in Cile ha esibito un documento che attesta la sua nomina a procuratore militare di Temuco solo nel marzo ’74. E su questa carta in patria è stato scagionato. L’ordine 52, così come le testimonianza dei sopravvissuti — alcuni ascoltati anche a Roma dal pm Capaldo — indicherebbero invece che lui c’era da subito. Alla prigione sarebbe arrivato già la mattina dell’11 settembre, ore 8, per imporre il rilascio dei terroristi di destra di Patria y Libertad. Di lì si sarebbe installato nel carcere. “Era lui a dare l’ordine di torturare e spesso partecipava direttamente alle sessioni— racconta Fresia —. Testimoni dicono di averlo sentito chiamare i torturatori e, indicando i prigionieri, dire: ‘Ammorbiditeli un po’, poi riportatemeli’. Una ragazza, insegnante delle elementari, l’ha riconosciuto come l’uomo che le ha puntato una pistola alla tempia in una finta esecuzione”. Presente e attivo inquisitore, dunque, del carcere di Temuco e della caserma Tucapel, gli stessi luoghi dell’orrore per cui è passato proprio in quegli anni lo scrittore cileno Luis Sepúlveda. [...]» (Alessandra Coppola, “Corriere della Sera” 3/8/2008) • Vedi anche Geraldina Colotti, “il manifesto”, 17/1/2010; Maria Elena Vincenzi, “la Repubblica” 12/7/2011.