ANDREA MALAGUTI, La Stampa 10/7/2011, 10 luglio 2011
1969, addio all’anima persa degli Stones - La prima pietra a rotolare fu quella di Brian Jones. Era un genio ossessivo e umorale, nato in una famiglia della media borghesia di Cheltenham
1969, addio all’anima persa degli Stones - La prima pietra a rotolare fu quella di Brian Jones. Era un genio ossessivo e umorale, nato in una famiglia della media borghesia di Cheltenham. Soffriva di asma e sapeva suonare tutto, dalla chitarra elettrica alla marimba. Aveva 27 anni e almeno cinque figli avuti da cinque donne diverse. Era smodatamente ricco, decisamente bello, attraversato da una inalienabile inquietudine autodistruttiva. Lo trovarono immobile come un corallo sul fondo della sua piscina dalle parti di Hartfield, a 80 chilometri da Londra, la notte tra il 2 e il 3 luglio del 1969. La sua villa, Cotchford Farm, in passato era appartenuta a A. A. Milne, autore di «Winnie the Pooh». Tre settimane prima i Rolling Stones - il gruppo che aveva fondato, battezzato e lanciato - lo avevano appallottolato e buttato via come un pezzo di carta. Mick Jagger e Keith Richards, convinti dal successo di poter attraversare la vita senza che nulla potesse scalfirli, si erano presentati a casa sua alla vigilia di una tournée negli Stati Uniti e lo avevano licenziato con un garbo da gangster. «Non ti reggi in piedi. La droga ti devasta. Andiamo avanti senza di te. Racconta quello che ti pare. Che di Pete Townshend degli Who è una scelta tua, se vuoi. Noi siamo noi. E lo siamo per conto nostro». Fine. Sepolti sette anni di storia. Forse Brian Jones era troppo estremo persino per loro, certamente avevano sempre fatto fatica a sopportarsi, tanto che prima dei concerti erano soliti dormire in alberghi diversi. Richards gli portò via anche la ragazza, Anita Pallenberg. Una ferita mai rimarginata. Il coroner della Contea del Sussex, dopo avere riscontrato sul suo corpo tracce di ogni genere di droghe, la presenza di molto vino e di un numero insensato di tranquillanti, sul referto scrisse sbrigativamente: morte accidentale. Più probabilmente fu un omicidio. Secondo la modella Anna Wohlin, convinta che il fondatore degli Stones avesse scelto lei per ormeggiare la propria tenerezza, fu il costruttore edile Frank Thorogood ad ammazzarlo. Per rabbia. E per invidia. «Non sopportava il suo successo e la facilità che aveva con le ragazze», disse molti anni più tardi. «Sesso, droga e rock and roll». Il mantra di un’era. Fu coniato per Brian Jones, divoratore di esistenze e poeta. Era deciso, in quei giorni d’estate del ‘69, a mettere sul tavolo un nuovo progetto. «Non ho bisogno di voi». Il musicista blues Alexis Korner, che andò a trovarlo prima della morte, raccontò di averlo trovato improvvisamente solido, privo di timore ma non di speranza. Come se il temporale delle settimane precedenti avesse spazzato via molte cose di valore per sostituirle con altre più limpide, quasi luminose. Non il ritratto di un uomo che pensa al suicidio. La sera del 2 luglio Jones era nella sua villa assieme ad Anna Wohlin, a Frank Thorogood e all’infermiera Janet Lawson, amica del costruttore. In base alle deposizioni rilasciate alla polizia, dopo avere mangiato molto e bevuto troppo, i quattro decisero di fare un bagno. Erano le dieci e trenta. Le due donne rientrarono dopo mezz’ora. Thorogood rimase in acqua con Jones. A questo punto la scena si fa confusa. La Wohlin dice di essere andata in cucina e di avere trovato Thorogood bagnato e tremante. «Dov’è Brian?». «E’ rimasto in acqua, io avevo voglia di una sigaretta». Sentendo che qualcosa non funzionava la donna corse fuori. Le luci della piscina le sembrarono delle verruche fosforescenti mentre le tenebre l’avvolgevano nelle loro pieghe spaventose e flosce. Vide Jones sul fondo della vasca. Chiamò aiuto. A suo avviso il polso del cantante pulsava ancora, ma i medici del primo soccorso lo trovarono morto. Gli investigatori interrogarono tutti i presenti, ma, confortati dal referto del coroner, decisero che era stato un incidente. Caso chiuso. Finché lo stesso Thorogood, morto nel 1994, confessò a Tom Keylock, autista degli Stones, di essere l’autore dell’omicidio. Questo almeno sostenne Keylock, che poi ritrattò. Ancora nel 2001 la Wohlin rilanciò la tesi dell’omicidio dopo una colluttazione in acqua. In pochi le diedero retta, finché nel 2009 la polizia del Suessex riaprì l’indagine. Come è morto davvero il cigno nero Brian Jones? Hugh Evan Hopkins, il parroco che recitò l’orazione funebre, disse di lui: «Era un uomo che sopportava a fatica l’autorità, le convenzioni e le tradizioni, come molti della sua generazione che vedono proprio negli Stones la rappresentazione fisica delle loro inclinazioni. Ragazzi per cui i valori su cui si fonda questa chiesa di novecento anni sono irrilevanti». Non sono stati molti gli uomini capaci di girare le pagine del tempo. Migliaia di fan si assieparono lungo le strade. La sua bara, regalata da Bob Dylan, fu seppellita sotto quattro metri di terra per impedirne il saccheggio. Jim Morrison gli dedicò un poema e Pete Townshend scrisse per lui «Una giornata normale per Brian, un uomo che moriva ogni giorno». Né Mick Jagger né Keith Richards parteciparono al funerale.