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 2011  luglio 10 Domenica calendario

La sentenza comprata che mise fine alla guerra di Segrate - All’inizio era "la pazza", "l’ingrata", la "visionaria"

La sentenza comprata che mise fine alla guerra di Segrate - All’inizio era "la pazza", "l’ingrata", la "visionaria". Stefania Ariosto, la teste "Omega", la fragile dama bianca delle serate romane in casa Previti, si rivelò più coriacea di quanto un allora irresistibile Silvio Berlusconi avrebbe mai potuto immaginare. Era la metà degli anni ‘90 e ancora una volta una donna stava per mettere nei guai il Cavaliere. Non quelli boccacceschi e crepuscolari di cui narrano le cronache di Ruby ma quelli ben più seri, e in fondo speculari, di una conquista imprenditoriale giocata senza esclusione di colpi, corruzione compresa, per il controllo della più importante azienda editoriale del Paese: la Mondadori. L’Ariosto tenne duro sui giornali, a processo, negli interrogatori. E consegnò alla storia una verità che adesso si ritrova scritta anche nella sentenza civile che ieri ha condannato Silvio Berlusconi e la Fininvest a risarcire con oltre mezzo miliardo di euro Carlo De Benedetti e la Cir. «La teste aveva riferito di avere conosciuto Cesare Previti (all’epoca "avvocato d’affari" del Cavaliere) negli anni ‘80... Era diventata buona amica di Previti che la invitava spesso a casa per ricevimenti e cene o colazioni e che le aveva confidato di avere fondi illimitati messi a disposizione da Silvio Berlusconi per corrompere magistrati...». Nel 1988 Berlusconi, che già possedeva azioni di Mondadori nell’ambito di un fragilissimo equilibrio con De Benedetti, decise di contare di più. L’ingegnere aveva la maggioranza ma non il controllo completo della casa editrice. L’ago della bilancia era rappresentato dal pacchetto azionario in mano alla famiglia Formenton, erede di Arnoldo Mondadori, che aveva stretto un patto con la Cir dell’Ingegnere impegnandosi a vendere i titoli entro il 30 gennaio del 1991. Gli eredi però cambiano idea decidendo di passare nelle file berlusconiane. Nel 1990, il nuovo blocco azionario porta Berlusconi a diventare presidente della casa editrice e di fatto il più importante editore del Paese: controlla 3 televisioni, Il Giornale e adesso anche il gruppo che governa su Repubblica, Panorama, Espresso, Epoca e 15 quotidiani locali, la Finegil. Eserciti di avvocati si fronteggiano, la politica si agita: è la cosiddetta "guerra di Segrate". Per decisione unanime, i contendenti, costretti a una convivenza impossibile, decidono di rivolgersi a un collegio arbitrale per stabilire a chi Formenton dovrà vendere le azioni vincolate da un patto che ha denunciato come iniquo. Il lodo arbitrale, 1990, dà ragione a De Benedetti: il patto resta valido, Formenton deve cedere alla Cir. Berlusconi lascia la presidenza ma non si arrende. E impugna il lodo davanti alla Corte d’Appello di Roma. Se ne occupa la prima sezione civile, presieduta da Arnaldo Valente (che secondo la Ariosto frequentava casa Previti). Giudice relatore ed estensore della sentenza è Vittorio Metta, anch’egli amico di Previti e noto al palazzaccio per essere piuttosto lento nelle sue sentenze. Invece, ecco il miracolo: il 14 gennaio 1991, i giudici d’appello romani chiudono la camera di consiglio e dieci giorni dopo, il verdetto diventa pubblico: ribalta le conclusioni del Lodo arbitrale e consegna nelle mani di Berlusconi di nuovo tutta la Mondadori. Le motivazioni di quella sentenza, ben 168 pagine, vengono depositate da Metta a tempo di record, addirittura il giorno dopo la chiusura della decisione, il 15 gennaio. Le voci si rincorrono, si dice persino che la sentenza sia stata scritta nello studio di Acampora, uno degli avvocati "intermediatori" di Previti e della Fininvest e che sia stata pagata 10 miliardi. Ma non è vero: è costata "solo" 400 milioni di lire, i soldi che Metta incasserà da Previti per comprare un appartamento alla figlia. Lo dicono i conti scoperti dalla Procura che viene informata "del giro Previti" e dei giudici a libro paga, proprio da Stefania Ariosto, all’epoca fidanzata con Vittorio Dotti, l’avvocato degli "affari puliti" del Premier, finita a sua volta nei guai per una serie di debiti. Metta, dimessosi dalla magistratura, andrà a lavorare nello studio Previti. Nel frattempo interviene Andreotti che, con il cosiddetto "Lodo Ciarrapico", ridistribuirà le testate giornalistiche tra De Benedetti e Berlusconi. Nel 2007, dopo una serie di sentenze altalenanti i protagonisti della vicenda verranno tutti condannati in continuazione anche per un’altro scandalo (Imi Sir) a pene tra gli 11 anni e i 13 anni e mezzo. Tutti tranne uno: Berlusconi, che viene prescritto con le attenuanti. Parte la causa civile. E al Cavaliere, come al solito, tocca mettere mano al portafoglio.