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 2011  luglio 11 Lunedì calendario

Ecco come il Cavaliere può evitare il risarcimento - Chi pensa che la pallina della roulette della giustizia italiana nel caso del Lodo Mondadori si sia fer­mata l’altro ieri si sbaglia: vent’an­ni non bastano ancora, la parola fi­nale dovrà essere pronunciata dal­la Cassazione

Ecco come il Cavaliere può evitare il risarcimento - Chi pensa che la pallina della roulette della giustizia italiana nel caso del Lodo Mondadori si sia fer­mata l’altro ieri si sbaglia: vent’an­ni non bastano ancora, la parola fi­nale dovrà essere pronunciata dal­la Cassazione. Nel frattempo la «speranza» di Fininvest per evita­re un clamoroso via vai di assegni per cifre iperboliche, risiede nello stesso tribunale che ha appena emesso la condanna e che può, a sua discrezione, concedere la so­spensione dell’esecutività della sentenza dietro concessione di adeguata cauzione, esattamente come accaduto in primo grado. Logica vorrebbe che gli stessi motivi che hanno condotto il tri­bunale a congelare il pagamento dopo la prima sentenza debbano essere alla base di un nuovo rin­vio, infatti un esborso in contanti di tale entità, anche se la cifra fos­se nelle disponibilità del «provvi­soriamente condannato », potreb­be produrre danni irreparabili. Tuttavia, spesso, la logica non basta. Astraendosi dalla politica e provando a ignorare i nomi dei protagonisti di questa vicenda, possiamo però capire perché mol­tissime imprese internazionali non si sognino neppure di investi­re nello Stivale. Freddamente considerando le cose, abbiamo un’azienda Alfa, costretta a pagare un risarcimen­to a Beta per una questione avve­nuta vent’anni fa ( primo parados­so: la prescrizione esiste anche nel civile, se da domani dovessi­mo scoprire che la nostra azienda è a rischio citazione per fatti del no­vanta staremmo freschi), presu­mendo una colpevolezza penale mai dimostrata in tribunale (se­condo paradosso: né la società Al­fa né il suo proprietario Tizio sono mai stati nemmeno processati con dibattimento per i fatti in que­stione), prevedendo un danno su­periore al valore totale dell’azien­da «incriminata» (terzo parados­so: i titoli degli «editoriali» sono crollati negli anni, un risarcimen­to di questo tipo è come stabilire, per non aver avuto la possibilità in passato di comprare a prezzo pie­n­o una villetta sul mare a Fukushi­ma, un prezzo maggiore di quello dell’intera casa). Il bello (o il brutto), però, è che non finisce qui: capita, infatti, che la sentenza di primo grado sia sta­ta decisa per un ammontare di ol­tre settecento milioni di euro, una cifra che non lascerebbe indiffe­rente nemmeno la Microsoft, «ad occhio» da un magistrato privo di alcuna specifica competenza in complesse questioni economi­che e che, anche agli occhi benevo­li della Corte di Appello, scopria­mo che ha «sbagliato» di circa due­cento milioni. Un’enormità.Capi­ta anche una sentenza che, in pra­tica, afferma che in un collegio di tre, due sono burattini (e sarebbe interessante a questo punto sape­re se la cosa vale sempre e anche in quest’ultima decisione abbia­mo un protagonista e due cloni). Altre sono le stranezze, ma è pro­babile che il nostro investitore estero abbia già a questo punto chiuso il faldone Italia e abbia ini­ziato ad aprirne un altro scuoten­do la testa. Fin qui le criticità «og­gettive ». Inutile, comunque, ora entrare nel merito della questione Finin­vest- Cir, tuttavia questi paradossi possono ispirare correttivi da inse­rirsi nella riforma della Giustizia colpevolmente sempre rimanda­ta dal centrodestra. Primo: responsabilità civile dei magistrati. Solo il costo della fi­dejussione a garanzia dei duecen­to milioni di «errore» del giudice di primo grado (ipotizzata in un conveniente 1%all’anno)vale cir­ca quattro milioni. Dato che se non è negligenza grave stabilire ci­fre del genere senza perizia niente lo è (equivale ad operare a cuore aperto senza esami precedenti), senza la certezza dell’impunità forse si vedrebbero meno senten­ze «ad occhio», stante il rischio di dover sborsare di tasca propria qualche milione. Secondo: stabili­re l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione come accade nella maggior parte del mondo civile. Il giudice Vittorio Metta era stato in precedenza assolto da un tribuna­le; come si possano derivare cer­tezze postume da vicende, con prove tanto evanescenti da meri­tarsi assoluzioni piene in diversi gradi del procedimento, non è da­to sapere. Negli Stati Uniti questa telenovela non sarebbe neppure nata proprio per questo motivo. Negli Usa, dove gli investimenti fioccano, però la pallina gira solo nelle roulette di Las Vegas. Qui da noi, invece, la ruota del caso gira anche nei tribunali, magari per vent’anni.