Riccardo Signori, il Giornale 10/7/2011, 10 luglio 2011
Eterno Jake La Motta Toro scatenato da 90 anni - Sopravvivere a sei mogli, ai pugni di Sugar Ray Robinson e Marcel Cerdan, e arrivare a 90 anni è una storia da duri
Eterno Jake La Motta Toro scatenato da 90 anni - Sopravvivere a sei mogli, ai pugni di Sugar Ray Robinson e Marcel Cerdan, e arrivare a 90 anni è una storia da duri. Jake La Motta ce l’ha raccontata in tutti i modi: sul ring, nella vita e nei film. Il vecchio brigante è ancora tra noi, molti ne resteranno stupiti, magari chiedendosi:è ancora vivo?E’ arrivato a quota 90, essendo nato il 10 luglio 1921 a New York, sotto il nome di Giacobbe La Motta. L’origine italiana, data dalla sicilianità del padre, non è solo nel cognome: il sangue non ha mai mentito, i pugni erano quelli di un disperato che scaricava sul quadrato tutta la sua furia e ne ha cavato il meglio della vita. La sua boxe era violenza cieca, colpi viziosi, ricciuto carro armato, massiccio, vestito di una pelle di pantera, guardava sempre con aria minacciosa, aveva gli occhi di una ingorda mangiatrice di uomini. Nato a New York o, per meglio dire, Bronx: la patria dei pugni da strada. Non a caso il soprannome preferito era “The Bronx Bull” (il Toro del Bronx), mentre quello più artistico diceva: “ The Raging Bull”,ovvero “Toro scatenato” da cui ne trassero il film che valse l’oscar a Robert De Niro. Jake è arrivato ai suoi avventurosi 90 anni scavalcando tempeste e cavalcando sempre gli affari: sporchi o puliti che fossero. Ha conosciuto il carcere, ha avuto rapporti tempestosi con le sei mogli, dalla prima delle quali, la bionda e inebriante Vicky, ha avuto tre figli, è stato spesso border line nelle storie di vita. Non si è mai negato niente, neppure i piaceri della cucina, se è vero che tra un match e l’altro ha dovuto perdere anche 30 kg. Conclusa la storia del ring (14 aprile 1954), La Motta ammise di aver perduto contro Billy Fox, un nero analfabeta che piaceva alla gente, per volere del suo padrone, quel signore dagli occhi grigi che chiamavano Mister Grey, in realtà conosciuto come Frankie Carbo. Non fu l’unico doppio gioco per reggere i voleri di quei padroni. Ma quella volta gli rese un bel gruzzolo e la possibilità di battersi per il titolo del mondo dei medi. Nel4˚ round, Jakeabbassòiltestone, andando a cozzare contro la pancia di Billy che colpì, con disperazione, il suo cranio. Bastò un urlaccio e lasciarsi cadere sulle corde. Jake era già un buon attore, come dimostrò anche sul set. Rimase lì, aspettando il conto. Joey, suo fratello, aveva puntato sull’altro, anche per suo conto. Con quel gruzzolo, Jake comprò una bella casetta per la sua vecchia, la mamma dei ragazzi La Motta. E così doveva andare pure con Tiberio Mitri, il campione dell’Italia d’allora, ultima meraviglia dei pesi medi. Jake sapeva vincere ma anche perdere, quando serviva. Con Mitri non ci riuscì. Jake lavorò rilassato, evitò la solita sfida al massacro, ma l’italiano non fece abbastanza per vincere. Ma la storia di La Motta è stata, comunque, quella di un re dei pesi medi, uno dei migliori dieci della storia, non un grande tecnico, certo uno scazzottatore folle: il primo a mandare al tappeto Sugar Ray Robinson, facendolo volare fuori dalle corde con un terrificante gancio destro, capace di tenergli testa per sei incontri, sempre sul filo del vinci tu o vinco io. Vero? Non vero? Comunque fu spettacolo. Contro Sugar si chiuse anche la sua storia di campione del mondo,nel match definito il “massacro di San Valentino”( 14 febbraio 1951): Robinson dimenticò lo stile elegante e aereo per pestare Jake come una bistecca. La Motta aveva conquistato il titolo contro Marcel Cerdan: ci voleva fegato e bravura. Marcel, quella notte a Detroit (16 giugno 1949), aveva una spalla malmessa, ma lo sfidante lo torturò con furore. La rivincita non si fece mai, perché la vita di Cerdan e dell’aereo chelo riportava negli Stati Uniti si arenò contro un picco delle Azzorre. Oggi, invece, Jake La Motta è ancora qui: a raccontare un destino da inaffondabile. Beato lui!