Chris Leadbeater, il Fatto Quotidiano 10/7/2011, 10 luglio 2011
FIESTA A PAMPLONA, POVERI TORI, POVERO HEMINGWAY
Anche nell’affollamento inverosimile della settimana di San Firmino iniziata il 7 luglio, trovarlo non e’ difficile. Anzitutto nel luogo più scontato: dinanzi alla Plaza de Toros dove c’è una sua scultura che lo ritrae con una espressione che sembra dire: “questo posto è mio”. E per molti versi e’ vero.
Stiamo parlando di Ernest Hemingway, leggendario bevitore, viaggiatore, scrittore, icona letteraria del 20° secolo di cui ricorre il cinquantenario dalla morte.
Molte zone del mondo rivendicano un rapporto particolare con Hemingway: Cuba, la Florida, Parigi, la Costa Azzurra, il Kenya. Ma Pamplona è stata la sua prima ossessione e un grande amore corrisposto. Ai tempi di Hemingway, il capoluogo della Navarra, era una cittadina praticamente sconosciuta che attendeva di essere svelata al mondo. Ed è quanto fece Hemingway soggiornando a Pamplona ben nove volte e presenziando spesso alla celebre festa di San Firmino: festa di tori e di sangue, di bevute e di canti. Gran parte della leggenda si deve al romanzo “Fiesta”, il capolavoro scritto da Hemingway proprio a Pamplona nell’estate del 1925. Insomma fu lui a trasformare una festa paesana in un evento globale. “Fiesta”, pubblicato nel 1926, è stato il suo primo romanzo e forse il suo capolavoro. E’ l’affresco di un gruppo di bohemien ispirato a personaggi realmente esistiti. Lady Brett Ashley, la cui irrequietezza sessuale disgrega il gruppo di amici, altro non è che Lady Duff Twysden, una signora divorziata molto in vista nella società britannica. Il suo ex amante Robert Cohn è Harold Loeb, già sparring partner di Hemingway sul ring. E la voce narrante e’ quella dello stesso Hemingway.
LA STORIA d’amore con Pamplona iniziata nel 1925 si concluse nel 1959. L’ultima permanenza dello scrittore nella città della Navarra fu tutt’altro che felice. Già provato nel corpo e nella mente, trovò una Pamplona diversa da quella che aveva conosciuto e amato. Invece della spensieratezza dei “ruggenti anni ‘20” c’era il regime fascista di Franco che, tra l’altro, aveva vietato la pubblicazione dei suoi libri. La festa era diventata talmente commerciale e sovraffollata che Hemingway temette di aver creato un mostro. Nel nel suo reportage “Un’estate pericolosa”, scrisse: “Pamplona era, come sempre, aspra, sovraffollata.... Era quella di sempre con quarantamila turisti in più. Quando la vidi la prima volta, quattro decenni orsono, i turisti erano appena una ventina”. Due anni dopo, per l’esattezza il 2 luglio 1961, durante la settimana de Los Sanfermines, si sparò in bocca nella sua casa di Ketchum, Idaho.
Oggi i turisti sono diventati centinaia di migliaia, per cui bisogna scegliere. Se si vuole andare sulle tracce di Hemingway bisogna evitare proprio i giorni della fiesta. Solo di primo mattino Plaza Castillo non delude: un grande spazio rettangolare circondato da portici dove i personaggi di “Fiesta” stazionano di continuo, impegnati a bere e a litigare tra loro.
APPENA metto piede nella piazza ho l’impressione di essere precipitato in uno dei capitoli del libro. “Faceva caldo in piazza”, dice Jake Barnes. “Le bandiere sventolavano sui pennoni ed bello sottrarsi al sole cercando riparo all’ombra del porticato che corre tutt’intorno alla piazza”. Anche io faccio la stessa cosa. “Abbiamo preso il caffè da Iruna” - continua Barnes - “comodamente seduti sulle poltroncine di vimini”. Il caffè Iruna è rimasto come 86 anni fa, una sorta di fantasma del 19° secolo con le pareti coperte di specchi, colonne arabescate e il pavimento a mattonelle bianche e nere consumate dal tempo.
Sorseggio un caffellatte circondato da anziane matrone sedute a coppie ai tavolini rotondi. Anche qui c’e’ Hemingway. Si materializza in una stanzetta laterale sotto forma di una statua scura. E’ già il corpulento Hemingway degli anni ’50 da non confondere con la gazzella agile e muscolosa degli anni ’20.
La comitiva di amici di “Fiesta” soggiornava all’Hotel Quintana – che nel libro era stato ribattezzato Hotel Montoya. L’albergo, che si trova all’angolo sud-est di Plaza Castillo, era gestito da un amico di Hemingway: Juanito Quintana. Quintana, fervente anti-franchista, svanì nel nulla negli anni ’40 e l’edificio fu ristrutturato per ricavarne degli appartamenti. Oggi al piano terra c’e’ la Cerveceria Tropicana, un buco chiassoso che ben poco ha a che vedere con il locale che, come scriveva Hemingway, accoglieva i matador dopo la corrida. Accanto alla birreria c’e’ il Bar Txoko, frequentato da Hemingway nel 1959. In un altro punto della piazza il Bar Torino – ribattezzato nel libro Bar Milano – al cui interno una targa ricorda il grande scrittore.
Ma non possiamo dimenticare il Gran Hotel La Perla. Mentre l’Hotel Quintana era il rifugio degli amici di “Fiesta”, il Gran Hotel La Perla, sul lato nord-ovest della Plaza, era il preferito di Hemingway nella realtà. Qui scese la maggior parte delle volte che venne a Pamplona e la stanza che era solito prenotare è rimasta come allora e porta il suo nome.
NEI GIORNI della fiesta la suite 217 è prenotata per i prossimi vent’anni e devo accontentarmi di una rapida occhiata. La stanza da letto è identica e i mobili sono gli stessi di allora: un divano a due posti color rosa pallido, un telefono bianco, una piccola scrivania e due letti singoli. Affacciandosi al balcone si ha l’esatta vista dalla quale quale Barnes, nel romanzo, guarda la furiosa cavalcata dei tori. Scendo in strada e cerco di immaginare cosa puo’ voler dire correre per 851 metri tra il sudore, le urla, i fiumi di alcol e i tori inferociti. Una follia! Alla fine della corsa a perdifiato c’e’ la plaza de toros. E’ aperta. All’interno c’e’ un mercato. Mi aggiro tra le bancarelle della terza arena piu’ grande del mondo dopo quelle di Citta’ del Messico e Madrid. Mentre procedo a fatica nella calca ricordo che proprio qui Barnes spiega a Brett Ashley i rituali della corrida e qui la capricciosa e mondana Brett si innamora del matador Pedro Romero.
Con ogni probabilità Hemingway non sbagliava quando si dichiarò deluso della città. Almeno per quanto riguarda la settimana di San Firmino, aveva davvero creato un mostro.
(c) The Independent Traduzione di Carlo Antonio Biscotto