Guido Rossi, Il Sole 24 Ore 10/7/2011, 10 luglio 2011
DATE ALL’ITALIA UN NUOVO DIRITTO D’IMPRESA
Le recentissime sentenze della quinta sezione penale (n. 24.583) della Corte di Cassazione, che estende alla capogruppo l’applicazione del decreto 231 per un reato commesso nell’ambito di una società controllata e della Corte d’appello di Milano immediatamente esecutiva sul caso Mondadori, nonché le precedenti vicende politiche che hanno riguardato la manovra economica del Dl 98/2011, rendono necessaria qualche riflessione di carattere generale. Riflessioni che devono riguardare in modo particolare il diritto dell’impresa, la stabilità e credibilità dello stato di diritto del Paese.
La difesa e la normazione corretta dei diritti delle imprese nonché gli strumenti a rispetto della disciplina dei mercati sono certamente uno dei compiti che, nelle difficoltà poste dalla attuale crisi finanziaria, ancora assai grave e di lunga durata, devono essere prioritariamente garantite.
Sospendere invero in modo obbligatorio l’esecutività delle condanne di ammontare superiore a una certa cifra non condurrebbe sicuramente alla difesa, bensì a una palese vessazione delle imprese. In un sistema giuridico come il nostro, internazionalmente sanzionato per i gravi ritardi della sua giustizia civile, si toglierebbe di fatto, col passare del tempo dei vari gradi di giudizio, l’effettività delle sentenze che garantiscono il risarcimento dei danni da chiunque li abbia commessi, ivi compresa la pubblica amministrazione. E ciò non solo è contro l’articolo 111 della Costituzione, che «assicura la ragionevole durata» dei processi, ma pone a grave repentaglio la stessa libera attività economica, garantendo una sorta di lunga, ancorché transitoria, impunità per chi compie inadempimenti o atti illeciti. Ne risponderà, infatti, "a babbo morto". Siffatta, ulteriore anomalia infierirebbe sul diritto dell’impresa, già colpita dalla deriva di decostruzione del brocardo societas delinquere non potest con due, tanto gravi quanto evidenti, conseguenze.
La prima è la scimmiottata legislativa di istituti del common law presi a prestito, adattati e storpiati non solo per la disciplina dei mercati finanziari ma anche per il nostro diritto societario. È nata così nel 2001 (dlgs n. 231) la responsabilità da reato degli enti a seguito dell’adesione dell’Italia ad atti internazionali. Ma dal 2001 il decreto n. 231 ha subito modifiche sostanziali, con circa una ventina di leggi che hanno creato una serie di reati-presupposto con un tasso di complessità della disciplina che ha completamente stravolto il diritto societario, ormai plasmato più dal diritto penale che da quello civile. Si sono così inventati all’interno delle imprese organi societari nuovi, ignoti ad altri ordinamenti, come l’Organismo di vigilanza, dettato per verificare l’attuazione e l’adeguatezza del modello di prevenzione dei reati e relativi protocolli, oppure il Comitato per il controllo interno e la revisione contabile che collide con il vecchio ma tuttora inutilmente vivo collegio sindacale. Considerevole è la confusione ed enormi i costi per chi lavora per controllare coloro che svolgono le attività per il perseguimento dell’oggetto sociale. Opinioni in letteratura (fra le quali primeggia il contributo di Alberto Alessandri, Diritto penale e attività economica, Il Mulino 2010) e decisioni in giurisprudenza sulla materia sono già abbondanti. Per la soluzione dei più delicati problemi delle imprese, alle sezioni specializzate dei Tribunali civili si sono sostituite le Procure della Repubblica, le quali, postergando il risarcimento del danneggiato alla confisca del profitto da reato societario rendono ancor più incerta la tutela dell’impresa.
La sopracitata sentenza della Cassazione amplifica la disciplina penalistica all’interno dei gruppi, imponendo alla società controllante funzioni e compiti di vigilanza, di ripartizione di deleghe di notevole complessità ed entità, sanzionati penalmente.
Debbo subito osservare che la responsabilità da reato degli enti risulta nella nostra disciplina, rispetto al prototipo americano, molto più ingombrante proprio per la fiacca effettività sanzionatoria nell’ambito del diritto civile e del diritto amministrativo. Si tratta infatti di una responsabilità aggiuntiva e non sostitutiva contrariamente al principio di base che vale negli Stati Uniti dove si tende a punire sempre più la persona fisica che non le corporation, le quali sono spesso impegnate invece in negoziazioni paritetiche con la pubblica accusa. Siamo, d’altra parte, l’unico Paese, ora seguito parzialmente per i reati di corruzione dalla Gran Bretagna, a imporre l’adozione di un modello preventivo, imitato dai compliance programs che tuttavia non sono obbligatori. Insomma, il nostro diritto penale delle imprese, che pretende avere anche scopi educativi nella prevenzione dei reati, chiede agli enti moltissimo, ristruttura completamente il diritto societario, impone costi, lacci e lacciuoli, ma poi non garantisce certezze sulla valutazione a posteriori dei modelli operata giudizialmente con amplissimi margini di discrezionalità.
La seconda conseguenza è che la penalizzazione del diritto dell’impresa non è causata dalla supplenza, tante volte proclamata e criticata, della magistratura penale, bensì da un’alluvione improvvida di regole poste da un legislatore tanto ostinato quanto affrettato, il quale tende a umiliare la disciplina civilistica e quella amministrativa. Non è forse questa una delle maggiori ragioni dell’attuale difficoltà a risalire dalla crisi economica? Negli Stati Uniti, sempre presi a modello, si preferisce invece impiegare sanzioni satisfattive e risarcitorie civili, a volte anche punitive: si pensi ai punitive o triple damages, che superano di gran lunga il danno subito. Oppure si ponga a mente ai poteri sanzionatori che hanno le agenzie indipendenti come la Sec. Mi si potrebbe peraltro a questo punto obiettare che anche là, dove è nata la crisi, il sistema non ha funzionato. Ciò è vero, ma le ragioni sono diverse e già evidenziate da più parti, ancorché molto da indagare.
In conclusione, è tempo di sospendere quella che ho chiamato l’alluvione legislativa italiana e porre mano a una seria riforma globale del diritto dell’impresa e dei mercati finanziari che metta in discussione alcuni principi fondamentali, ora stravolti, quale ad esempio quello della responsabilità limitata. La Consob ha già istituito al riguardo un tavolo di lavoro che coinvolge anche i rappresentanti delle imprese e dei risparmiatori. A loro dovrebbero tuttavia aggiungersi anche i rappresentanti di altri stakeholder, quali i lavoratori, e come per passate buone leggi italiane, ahimé ormai antiche, i migliori giuristi. Il tema non dovrebbe poi riguardare solo i mercati finanziari, ma anche le strutture societarie e finalmente l’apertura di un sistema imprenditoriale chiuso nell’accanita difesa dei titolari del controllo comunque raggiunto e ormai disciplinato e minacciato solo dal diritto penale.