Varie, 11 luglio 2011
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Ranchetti Michele
• Milano 1925, Firenze 2 febbraio 2008 (Tenerife?). Storico, poeta, pittore ecc. • «[...] storico della Chiesa, studioso di psicoanalisi, poeta e pittore [...] aveva fatto parte con Camillo De Piaz e David Maria Turoldo del gruppo della Corsia dei Servi. Collaboratore di Giuseppe Dossetti, era stato segretario di Adriano Olivetti e collaboratore della Feltrinelli, della Boringhieri, dell’Adelphi e della Garzanti. Nel 2006 aveva promosso da Bollati Boringhieri un’edizione tematica delle opere di Freud, utilizzando e correggendo i testi tradotti da Renata Colorni. Ne era nata una lite in seguito alla quale l’opera era stata ritirata» (“Corriere della Sera” 4/2/2008) • «Era una delle figure più singolari e versatili nel panorama intellettuale italiano del Novecento. Studioso di Freud e Wittgenstein, traduttore di Celan e Scholem, storico della Chiesa e severo analista della recente evoluzione del cattolicesimo [...] fu anche apprezzato poeta e si dilettava di pittura [...] dopo essere stato segretario di Adriano Olivetti, dal 1955 al 1963 aveva lavorato come consulente editoriale per Gian Giacomo Feltrinelli. Poi con Paolo Boringhieri, a cui era legato da amicizia, quindi per un periodo da Adelphi, infine con Einaudi e negli ultimi anni con Quodlibet (che gli ha dedicato una bella miscellanea: Anima e paura. Studi in onore di Michele Ranchetti,1998). Parallelamente aveva mantenuto i contatti con l’ambiente universitario dove aveva svolto la sua attività di storico della Chiesa. A Milano aveva seguito l’insegnamento di Federico Chabod, poi alla metà degli anni Sessanta era passato a Firenze, dove fu in contatto con Delio Cantimori e dove succedette a Giuseppe Alberigo nell´insegnamento di storia della Chiesa. Dal lavoro storiografico - il suo libro più importante in questo campo rimane Cultura e riforma religiosa nella storia del modernismo (Einaudi 1963) - Ranchetti trasse argomenti per cercare di capire come si sia formato quel’insidioso corto circuito teologico-politico che spinge la Chiesa odierna a preferire un rumoroso cattolicesimo alla conversione silenziosa. La sua aspra analisi - condotta in libri come Gli ultimi preti (Cultura della pace 1997), Chiesa cattolica ed esperienza religiosa (secondo di tre tomi degli Scritti diversi, a cura di Fabio Milana, Edizioni di storia e letteratura 1999-2000) e Non c’e più religione. Istituzione e verità nel cattolicesimo italiano del Novecento (Garzanti 2003) - rimane di grande attualità. Ranchetti lamentava la scomparsa della “cultura religiosa”. Con lungimiranza metteva in guardia coloro che ritenevano superato il dissidio fra Chiesa e Stato: i due ordini, il sacro e il profano, procedono sì paralleli adempiendo ciascuno alla sua vocazione, ma più che di una libera armonia tra entità indipendenti - libera Chiesa in libero Stato - si sarebbe prodotta un´alleanza tra dittature. E incalzava: “Cosa mai fosse l’ordine religioso e come potesse comporsi con quell’ordine civile, e soprattutto cosa mai fosse o potesse essere il sacro, nella sua violenza e nella sua estraneità alle ragioni della ragione, questo non sembra che potessero saperlo, o almeno non vi è traccia di una resistenza ‘religiosa’ all´interno dei due schieramenti. [...] La Chiesa Romana sarebbe così diventata quella chiesa romana che si vede, che si tocca. Di tutte le note caratteristiche che nel corso dei secoli e nella tradizione cristiana avevano distinto la Chiesa, si sarebbero fatte prevalere l’autorità e la visibilità”. Un’analisi pungente, impietosa, che pare scritta oggi. L’altro grande interesse di Ranchetti era la psicoanalisi, specie la figura e il pensiero del suo fondatore, cui aveva dedicato vari studi raccolti nel terzo tomo degli Scritti diversi con l’eloquente titolo: “Lo spettro della psicoanalisi”. Questa disciplina dai contorni scientifici incerti e mal definiti, congiuntamente all’esigenza di assicurarle un vocabolario tecnico rigoroso, era stata un suo assillo fin da quando aveva cominciato a lavorare a fianco di Paolo Boringhieri all’edizione italiana delle opere di Freud. E alla fine diventò un’ossessione che lo spinse a progettare una ritraduzione degli scritti capitali di Freud: una temeraria impresa nella quale si avventurò anche contro l’evidenza delle meritorie e consolidate traduzioni di Renata Colorni. Ma per Ranchetti nulla era così importante perché non gli importasse come era scritto. Di questa convinzione si nutriva la sua attenzione per la parola ovvero - come recita il primo tomo dei suoi Scritti diversi - la sua “Etica del testo”, che egli coltivava soprattutto con la pratica della poesia. Alle due raccolte La mente musicale (Garzanti 1988) e Verbale (Garzanti 2001), una meditazione sul male di vivere che gli valse il premio Viareggio, ne aveva giusto preparata una terza, Poesie ultime e prime [...+ A ricordare la sua attenzione per la parola c’è il suo lavoro di traduttore: Wittgenstein (di cui raccolse una biografia per immagini pubblicata dall´editore Suhrkamp), la riedizione, con Gianfranco Bonola, delle celebri tesi di Walter Benjamin Sul concetto di storia (Einaudi 1997), le poesie inedite di Paul Celan e il grande libro di Gershom Scholem su Sabbetay Sevi. [...]» (Franco Volpi, “la Repubblica” 5/2/2008) • Vedi anche Andrea Cortellessa, “La Stampa” 5/2/2008; Paolo Di Stefano, “Corriere della Sera” 17/5/2008.