Antonio Cassese, la Repubblica 11/7/2011, 11 luglio 2011
PREGIUDIZI E VERITÀ SUL CASO BATTISTI
Giuliano Turone è stato uno dei migliori magistrati italiani per grande rigore e vasta cultura giuridica. Spronato anche dalle sagge parole del presidente Napolitano a proposito del caso Battisti («È mancato qualcosa alla nostra cultura e alla nostra politica per trasmettere, e far capire davvero, il senso di ciò che accadde in quegli anni tormentosi del terrorismo») Turone ha ora deciso di verificare se reggono ad un esame critico le argomentazioni di tutti coloro secondo cui i processi italiani contro Cesare Battisti sono stati sommari ed iniqui - argomentazioni di persone di peso, come Erri De Luca, Rossana Rossanda, Piero Sansonetti e Toni Negri, in Italia e, in Francia, Bernard-Henri Lévy e Fred Vargas. Per intraprendere una disamina approfondita di quei processi, Turone si è studiato i cinquantatré faldoni, "disordinati e caotici", degli atti processuali dei Pac (Proletari armati per i comunismo), valutando in particolare - anche alla luce della giurisprudenza italiana recente, più garantista di quella degli anni ’80 - il modo in cui erano state raccolte e valutate le prove contro gli imputati.
La sua conclusione è che quei processi furono equi e le prove vennero utilizzate correttamente dai giudici, tranne qualche caso, uno dei quali soltanto coinvolgeva Battisti: il ferimento di due medici nel 1978; secondo Turone le prove di colpevolezza contro Battisti sarebbero oggi considerate insufficienti. Per quanto riguarda gli omicidi commessi da Battisti, invece i giudici agirono sempre correttamente. Darò tre esempi di come egli smonta le accuse contro la giustizia italiana.
Anzitutto, è stato detto che Battisti venne assurdamente condannato per due omicidi (Torregiani e Sabbadin), commessi contemporaneamente il 16 febbraio 1979 in due città diverse (Milano e Mestre). Turone dimostra che ciò è possibile e le condanne furono corrette, perché nel caso Sabbadin Battisti sparò contro la vittima, e quindi fu uno degli autori materiali dell’omicidio, mentre nel caso Torregiani egli coordinò e diresse l’assassinio del gioielliere, e quindi fu giustamente condannato per concorso morale nell’omicidio (il concorso morale è riconosciuto come forma di responsabilità penale in tutti gli Stati di diritto). Secondo esempio. Battisti sarebbe stato condannato solo sulla base delle dichiarazioni di un solo pentito. Falso, dimostra Turone. Solo per l’omicidio della guardia carceraria Santoro, Battisti venne condannato sulla base delle dichiarazioni di un solo collaboratore di giustizia, dichiarazioni peraltro suffragate da riscontri solidi e convincenti.
Per gli altri tre omicidi egli venne condannato in base a dichiarazioni di rei confessi corroborate da dichiarazioni di altri membri dei Pac informati degli eventi; comunque quelle dichiarazioni hanno trovato sempre riscontri obiettivi ed attendibili. Terzo esempio. Battisti, sulla scia della scrittrice francese Fred Vargas, ha affermato che, «certamente per rendere l’accusa contro di me più accettabile e per creare uno scenario favorevole per una pena più rigorosa», la magistratura italiana ha usato tre false procure con cui egli avrebbe incaricato due avvocati a rappresentarlo al processo in sua assenza. A suo dire le firme erano false perché «sembravano strane, come se fossero state scritte lo stesso giorno, nello stesso momento, con un unico tratto di penna». In realtà, Battisti, prima della sua fuga del 1981, aveva fatto avere ai suoi legali italiani dei fogli che aveva preventivamente firmato in bianco.
«Ma allora - osserva Turone - non si capisce perché qualcuno avrebbe dovuto creare dei falsi per realizzare una falsa nomina a difensore di fiducia proprio di quell’avvocato (Pelazza) che era sempre stato suo difensore di fiducia e al quale proprio Battisti aveva fatto avere, non a caso, i fogli firmati in bianco».
L’autore conclude che la riposta dello Stato italiano al terrorismo fu quella di uno "Stato di diritto". Le autorità italiane non crearono tribunali speciali, non emanarono leggi speciali, non trasferirono ai militari poteri di polizia.
L’unica misura "eccezionale", peraltro temporanea, è stata il prolungamento della durata del carcere preventivo.
L’autore invita dunque Battisti a ritornare, avvalendosi di tutti i benefici della legge Gozzini, grazie ai quali tutti gli altri membri dei Pac che non erano fuggiti ed erano stati condannati, hanno scontato la pena e sono ora in libertà.
È questo un libro importante, nel quale l’autore dipana con rigore e chiarezza una matassa ingarbugliata, con una scrittura accessibile ai non addetti ai lavori. Speriamo che apra la mente a tutti coloro che si basano invece solo su ideologismi, ritagli di giornale, e facili deduzioni.