Valerio Castronovo, Il Sole 24 Ore 11/7/2011, 11 luglio 2011
COMPETITIVITÀ A RISCHIO BINARIO MORTO
Il corteo di imprenditori e amministratori pubblici scesi in strada a Genova per chiedere al Governo adeguate garanzie finanziarie per far partire i lavori del Terzo valico, ha riportato alla luce, dopo la questione della Tav Torino-Lione, un’altra vertenza ormai ineludibile. Qualora l’uno e l’altro progetto subissero ulteriori ritardi e ostruzionismi, ne andrebbero di mezzo, infatti, le potenzialità economiche del Nord-Ovest: dato che, mentre Torino e il suo entroterra rimarrebbero in un vicolo cieco se finisse per saltare l’anello di congiunzione italo-francese del "Corridoio 5" Kiev-Lisbona, a sua volta Genova non potrebbe contare su una nuova linea ferroviaria che, bucando gli Appennini, rendesse più rapido il traffico da Milano e dalla Pianura padana allo scalo marittimo ligure, agganciandosi con un’altra direttrice fondamentale per i nostri scambi come quella da Genova a Rotterdam lungo il "Corridodio 24", dal Tirreno al Mare del Nord. A rimetterci sarebbero anche i distretti industriali del Nord-Est, in quanto non potrebbero avvalersi di due arterie tali da consentire un trasporto più veloce dei loro prodotti in direzione dei mercati transalpini dell’Europa nord-occidentale, della penisola iberica e, tramite il porto di Genova, verso la sponda africana del Mediterraneo.
Fin d’ora, comunque, stiamo scontando le pesanti conseguenze della mancanza per troppi anni di una valida ed efficace politica di programmazione nel campo delle comunicazioni ferroviarie, in quanto contrassegnata da una sequela di rinvii e inadempienze. Con il risultato che l’ossatura dei nostri collegamenti su rotaia con l’estero è rimasta quella costruita in un lontano passato, tra la prima metà dell’Ottocento e gli inizi del secolo scorso.
Perciò dobbiamo considerare un’autentica fortuna il fatto che la classe dirigente di allora abbia saputo realizzare con altrettanta solerzia che lungimiranza, malgrado tante difficoltà tecniche e operative di quei tempi, una serie di arterie su cui passa ancor oggi gran parte del nostro traffico su ferrovia con l’estero.
Risale infatti al 1845 il progetto, concepito nel Regno di Sardegna, della linea fra Torino e Genova, attraverso il traforo dei Giovi, che, portato a compimento nel 1854, durante il governo di Cavour, contemplava una diramazione da Alessandria ad Arona sul lago Maggiore, in modo da consentire un suo prolungamento in Svizzera e da rilanciare così il ruolo di Genova, quale scalo sul Mediterraneo, in concorrenza con Marsiglia. Ed è del 1857 l’inizio dei lavori per il traforo del Fréjus che, completato nel 1871, rese possibile il collegamento ferroviario con la Francia e, di qui, con la Gran Bretagna. Nel frattempo, nel 1867, era stata attivata la linea che, giungendo al Brennero, in territorio austriaco, metteva in comunicazione l’Italia con l’Impero asburgico e, di qui, con la Baviera e altre regioni tedesche. In soli dieci anni, dal 1872 al 1882, venne poi costruita la galleria ferroviaria del San Gottardo con la Svizzera e l’Europa centro-settentrionale; e ancor meno, non più di otto anni, dal 1898 al 1906, ci vollero per realizzare il tunnel ferroviario del Sempione con l’alta valle del Rodano, che pur era il più lungo del mondo con quasi venti chilometri di percorso. Infine, dopo la Grande guerra, la linea del Tarvisio divenne una delle nostre principali arterie per il traffico merci con l’estero, date le sue ramificazioni verso l’Austria, la Jugoslavia e i Paesi dell’area danubiana.
Sono state queste le grandi infrastrutture ferroviarie che, insieme a quelle autostradali, hanno assecondato lo sviluppo di un’economia essenzialmente di trasformazione come quella italiana. Oggi che ci troviamo oltretutto a operare in un mercato unico europeo e tendenzialmente globale, è inconcepibile che non si sia provveduto per tempo a realizzare un sistema più efficiente e articolato di comunicazioni con l’estero, che valga a sostenere la competitività del nostro sistema produttivo. Ora si corre il rischio di un suo ripiegamento in una posizione periferica rispetto alle grandi correnti del traffico intercontinentale.