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 2011  luglio 10 Domenica calendario

ORIENTALISMI

Siamo abituati a vedere, nelle mostre sull’arte cinese allestite a Roma, la pittura tradizionale e quella contemporanea della Cina. Per oltre mille anni, in un periodo che va dall’VIII secolo all’inizio del XIX, i pittori cinesi si sono proposti di fissare sulla carta con il pennello e l’inchiostro il loro sogno di totale fusione con la natura, cercando di far coincidere le visioni del creato con i moti più segreti del loro animo. Più che a concetti architettonici come la prospettiva, o a stilemi estetici come la plasticità o il realismo, la pittura orientale classica si riferiva a un tipo di perfezione che unisce tutti i contrari ed è simboleggiata dall’invisibile e dall’indicibile. Da questo deriva l’onnipresente velo di nebbia che rende evanescenti le vedute di montagne e boschi, di laghi e pianure dipinte nei secoli passati. La strada imboccata dall’arte contemporanea cinese, pur con qualche eco della pittura tradizionale, è invece simile a quella dell’arte occidentale. A cominciare dalla tecnica di base: non più pennellate a inchiostro, che graduandone la diluizione assumeva tutte le tonalità del nero e del grigio, ma colori a olio, a tempera, acrilici in tutte le tonalità della tavolozza. C’è stato un momento preciso in cui è avvenuto il passaggio. Un momento in realtà molto lungo, durato un intero secolo. Tra la metà dell’Ottocento e la metà del Novecento, alcuni artisti cinesi visitano l’Europa, Parigi soprattutto, e quando tornano in patria cominciano ad insegnare quanto avevano appreso dell’altra cultura, soprattutto dal movimento degli Impressionisti (lo scambio in realtà è reciproco, verso la fine dell’Ottocento il cosiddetto Orientalismo affascina scrittori e artisti europei). La mostra a Palazzo Venezia, curata da Fan Di’an, direttore del Museo Namoc di Pechino e promossa dalla soprintendente Rossella Vodret in collaborazione con l’Anno Culturale della Cina in Italia, è importante perché documenta questo passaggio. Seguendo quelle che fin dagli albori sono le tre tematiche della pittura classica cinese (Ritratti, Fiori e uccelli e Paesaggi), sono stati scelti sei artisti, due per ogni tema, e cento dei loro quadri. Nel percorso si scopre come questi maestri abbiano osato «oltre la tradizione» -come recita il titolo dell’esposizione -interpretando in maniera innovativa tecniche, generi e soggetti. E la visita vale la pena, perché le opere sono affascinanti e rivelano mondi sconosciuti. Si comincia con Ren Bonian (1840-1895), considerato il più grande ritrattista della sua epoca, che riesce a dipingere ritratti talmente realistici da sembrare immagini riflesse nello specchio. Dall’Occidente Bonian apprende a dare plasticità ai volti sfumando l’incarnato con l’inchiostro di china. E comincia a farsi pagare per il suo lavoro, cosa inconcepibile fino ad allora per i pittori-letterati, che consideravano la pittura una specie di missione. Ancor più realistici sono i ritratti di Jiang Zhaohe (1904-1986), nato poverissimo, che si pone l’obiettivo di rappresentare la vita della gente comune. Sviluppa, fatto inedito per la pittura cinese, un’estetica del tragico che nel 1943, in piena occupazione giapponese, concretizza in un’opera alta due metri e lunga ventisei, intitolata Rifugiati e paragonata al Guernica di Picasso. Racconta la sinologa Adriana Iezzi che Zahohe visse più di un anno e mezzo nei quartieri poveri di Pechino, Shangai e Nanchino per documentarsi sulla miseria e il dolore degli sfollati e che il dipinto fu alla fine sequestrato dai giapponesi che lo fecero a pezzi e solo nel 1953 viene ritrovato in un magazzino, ma soltanto una metà. Nella sezione «Fiori e uccelli» si incontrano le opere di Qi Baishi (1864-1957) e Pan Tianshou. Il primo, considerato il vero pilastro della pittura moderna a inchiostro, è talmente abile che riesce a disegnare minuziosamente le venature sulle ali delle libellule e la peluria sottile sulle zampe dei grilli. Nel maggio scorso un suo quadro è stato battuto ad un’asta di Pechino a 65 milioni di dollari. Tianshou modernizza la composizione della pittura cinese, capovolgendo la disposizione dei soggetti all’interno del quadro: non più al centro come indicava la tradizione, ma ai lati, lasciando un vuoto al centro. Infine il «Paesaggio» , considerato la forma d’arte più alta, alla quale solo i pittori-letterati potevano avvicinarsi. Qui ci sono le opere di Huang Binhong (1 8 6 5 -1 9 5 5 ) e di Li Ke r a n (1907-1989), che conoscono gli impressionisti occidentali e come loro dipingono en plein air e arrivando agli stessi effetti di luce. La sorpresa sta nel fatto che i due cinesi continuano a usare l’inchiostro, ma riescono a rendere il nero più luminoso di qualsiasi colore.