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 2011  luglio 10 Domenica calendario

STORIE INDIMENTICABILI ANCHE SULLO SCHERMO

L’ ultimo (cioè quello che per ora bisogna citare come tale, ma che ultimo non sarà mai) lo stanno girando in queste settimane e dovrebbe uscire nel 2013, tra l’altro impreziosito da una diva come Julie Andrews in cima al cast. Conserverà il titolo originale del romanzo da cui è tratto, quel Crooked House conosciuto in italiano come È un problema, che non appartiene né alla serie dei Poirot né a quella di Miss Marple e però venne sempre considerato dall’autrice Agatha Christie come «il preferito» , a pari merito con Le due verità: altra storia senza i suoi due investigatori più celebri e tuttavia puntualmente trasferita anch’essa sullo schermo nel 1984 col titolo Prova d’innocenza, protagonista Donald Sutherland. Quanto a Miss Marple, peraltro, l’arzilla vecchietta-detective partorita dalla penna di Agatha nel 1927 non ha proprio motivi per lamentarsi, visto che non più tardi del marzo scorso è come se Hollywood avesse fatto un contratto direttamente a lei, riuscendo persino a ringiovanirla: nel senso che la Disney, aggiudicatasi in blocco i diritti sul personaggio, grazie a un simile copyright si prenderà la libertà di trasformare il ruolo già reso celebre 31 anni fa— per esempio — dall’Angela Landsbury di Assassinio allo specchio, nonché da altre sei interpreti di una infinità di versioni dei dodici romanzi di cui è protagonista, in quello di una altrettanto perspicace ma assai più fisicamente agile Miss Marple trentenne, con l’aspetto avvenente di Jennifer Garner e le battute scritte dallo sceneggiatore di Twin Peaks. Se poi torniamo indietro fino alle origini, cioè fino al 1928 in cui l’uscita del muto The Passing of Mr. Queen sanciva l’inizio di una saga cinematografica che, tra film per il cinema e serie tv, ha visto passare dalla pagina allo schermo un totale di 127 titoli in varie lingue (ma il numero è riduttivo: la serie più recente del Poirot televisivo di David Suchet, qui contata come titolo unico, in realtà ha sfornato tra L’ 89 e l’anno scorso 65 episodi da sola), allora c’è almeno una domanda banale da farsi: cosa mai hanno di speciale i gialli di Agatha Christie per aver avuto un tale sistematico successo cinematografico, praticamente ininterrotto e anzi continuamente rinnovato nel corso ormai di un secolo? L’antologia è di quelle che fanno venir voglia di scaricarsi, legalmente o no, tutto lo scaricabile dalla rete e chiudersi in casa per una settimana a rivederlo: a cominciare dalla prima Miss Marple cinematografica in versione italiana (in Inghilterra ce n’era già stata un’altra), quella di Margareth Rutherford e del suo Assassinio sul treno datato 1961, da non confondere ovviamente con quell’altro delitto ferroviario, l’Assassinio sull’Orient Express risolto invece da Hercule Poirot, che di versioni per lo schermo ne ha avute addirittura tre— da quella «cult» di Sidney Lumet, con Albert Finney, Sean Connery, Laureen Bacall e Ingrid Bergman, sino all’ultimo episodio tv datato 2010 — e nel 2006 è stato tradotto anche in videogame. Del resto il libro non era stato da meno, fin dalla sua uscita: pubblicato a puntate su una rivista americana nel 1933, la traduzione italiana arrivava appena due anni dopo con l’unica variante— dovuta al regime— per cui la vittima dal torbido passato, il misterioso Cassetti, si vedrà assegnato un cognome anglosassone. E poi quell’altro Poirot, forse il più famoso di tutti, il Peter Ustinov che dal mitico Assassinio sul Nilo in poi vestirà i panni dell’investigatore belga altre quattro volte. È il personaggio più vecchio di Agatha, che lo aveva inventato nel 1915 per raccogliere una sfida di sua sorella («Scommettiamo che non riesci a scrivere un giallo pubblicabile?» ) vinta solo cinque anni più tardi con un contratto da 25 sterline ed esclusione da qualsiasi utile al di sotto delle duemila copie. L’anno dopo era già arrivato alla terza edizione. Ecco, per quanto (fino a un certo punto) ovvia, questa è probabilmente la prima ragione del successo cinematografico dei titoli firmati Christie: è la scrittrice inglese più tradotta nel mondo. Anche più di Shakespeare. Un miliardo di copie vendute in inglese, altrettante in altre 50 e passa lingue diverse. Nella classifica degli autori più letti in una lingua diversa dall’originale, secondo l’Index Translationum dell’Unesco, è preceduta solo dai classici Disney. Magari non è l’unico motore, per chi i film li produce: ma è difficile non considerarlo tra quelli che possono fare la differenza. Dopodiché ci sono anche altre considerazioni. La prima, in verità piuttosto curiosa ma non così rara, è che Agatha Christie non li amava poi tanto, i film tratti dai suoi libri. Con qualche eccezione, è vero. Ma alcuni ancor meno di altri: per esempio proprio quelli interpretati dalla Landsbury. Almeno ufficialmente non ha mai collaborato ad alcuna sceneggiatura. Come fosse proprio il «mezzo» a irritarla. A differenza del teatro, per il quale invece non solo firmò numerose trasposizioni delle sue opere, ma realizzò addirittura quella Trappola per topi che vanta tuttora il primato mondiale del maggior numero di rappresentazioni consecutive, dal 1952 a oggi tutte le sere, prima all’Ambassador e poi al St. Martin’s di Londra. Ed è per spiegare il record di questo testo — ci siamo arrivati, finalmente — che la Christie in persona fornisce forse l’argomentazione buona per descrivere il successo dei suoi libri e, almeno in linea teorica, anche la loro fortuna cinematografica: «È il tipo di commedia alla quale si può portare chiunque, non è proprio un dramma, non è proprio uno spettacolo dell’orrore, non è proprio una commedia brillante... ma ha qualcosa di tutt’e tre e così accontenta la gente dai gusti più disparati» . Sembra facile, ma bisogna esserne capaci: se un buon giallo stesse tutto nella trama basterebbe, per farlo, una fantasia vivace. In realtà i libri firmati Christie sono riconoscibili per il fatto, tanto semplice da dire quanto difficile da praticare, che è proprio la loro lingua a essere «visiva» e in tal senso cinematografica: l’attenzione per i dettagli, la descrizione del particolare, la capacità di dare a tutti i personaggi uno spessore psicologico anche con pochi ma credibili tratti, l’efficacia dei dialoghi. Infine, forse, un elemento di suggestione legato all’uso sapiente, sistematico, ma mai ripetitivo, di uno tra gli archetipi del giallo: il mistero del delitto nella stanza chiusa, sia essa uno scompartimento di treno o un luogo come quello che imprigiona il destino dei Dieci piccoli indiani, ripreso dal cinema in una infinità di versioni che vanno dall’isola deserta a un villaggio iraniano, dal motel in una notte di pioggia a un ascensore bloccato. Nessuno vale l’originale col marchio Christie. Ma la maggior parte delle volte basta che nei titoli ci sia scritto «liberamente tratto da» : e bene o male finisce che te lo guardi fino in fondo.