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 2011  luglio 10 Domenica calendario

IL SUPER-RICERCATO BASHIR ALLA FESTA DEL SUD SUDAN

DAL NOSTRO INVIATO JUBA— Il caldo è soffocante e l’afa impedisce quasi di respirare. Almeno tre soldati, impegnati nella parata in perfetta alta uniforme sotto il sole cocente, cascano al suolo collassati e vengono portati via in barella. Ma la folla è scatenata, e niente può fermare la festa, la grande festa dell’indipendenza del Sud Sudan. Sul palco capi di Stato, primi ministri, ministri degli Esteri, non tutti in verità all’ombra, grondano di sudore. Le jallabie e i turbanti bianchi sono fradici. Su quella tribuna infuocata per l’Italia sono presenti il viceministro degli Esteri Alfredo Mantica e l’ambasciatore a Khartoum, Roberto Cantone. La sicurezza è precaria e nessun controllo personale. Ci si può così avvicinare e parlare con dittatori, che volentieri qualcuno vorrebbe fare fuori. La banda suona, i corpi speciali presentano le armi, sfilano i mutilati e gli invalidi di guerra, i gruppi cristiani e quelli islamici (i musulmani sono comunque il 20%della popolazione del nuovo Stato), la società civile, i «bambini per l’indipendenza» , perfino la squadra di calcio della nazionale. La moltitudine accorsa a celebrare la proclamazione d’indipendenza e il primo presidente della nuova Repubblica, Salva Kiir Mayardit, esplode in applausi, sventola bandiere e bandierine, urla, si eccita. La popolazione che si è sentita oppressa dagli arabi per anni e anni, ora sembra gustare il sapore della libertà. La frenesia si scatena quando viene ammainata la bandiera del Sudan e viene alzata quella del Sud Sudan. La folla è in delirio. Un giornalista stipato nella calca opprimente ha un attacco di panico. «Siamo africani non arabi— commenta un sudanese con la pelle nerissima che per due ore non ha smesso mai di urlare la sua gioia spaccandomi i timpani —. Io sono musulmano ma non ho niente da spartire con quello lì» . E indica con la mano il presidente del Sudan, Omar al-Bashir, l’uomo che siede in tribuna, su cui pende un mandato di cattura, emesso dalla Corte Penale Internazionale, per genocidio commesso in Darfur, la regione occidentale del Sudan. Già, su quel palco c’è anche il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, il leader incaricato dalla comunità internazionale di garantire la legalità e il rispetto dei diritti umani. Un bel pasticcio. Poco più in là spuntano i baffi del feroce dittatore eritreo Isayas Afeworki e quelli di Robert Mugabe, un despota che è riuscito a mettere in ginocchio il suo Paese, lo Zimbabwe. Di solito si fa accompagnare dalla moglie Grace. Questa volta la First Lady non c’è: Juba, la capitale del Sud Sudan, non offre nulla a un’amante dello shopping internazionale come lei. Qui ci sono solo sabbia, bellissimi panorami sul Nilo e alberghi senza stelle. Bashir invece si fa gioco del mandato di cattura della Corte, quasi che voglia dimostrare che non conta nulla. Ultimamente è stato anche in Cina. Il gigante asiatico non bada a scrupoli pur di mettere le mani sulle ricchezze minerarie dell’Africa. Oggi Bashir è in Sud Sudan dagli ex nemici. Forse ex è una parola grossa perché le truppe di Khartoum sono impegnate a eliminare le popolazioni Nuba, che abitano le montagne del Sud Kordofan, schierate con il nuovo Stato di cui vorrebbero far parte. Ieri le strade di Juba erano piene di persone in festa: chi avvolto in una bandiera, chi impegnato a rompere le orecchie con le vuvuzelas, o a danzare, o a improvvisare cortei festosi. Molti quelli appena arrivati dai campi del nord, nei quali erano scappati per sfuggire a una guerra durata almeno 30 anni. «Quello dei rifugiati che ritornano — spiega Giovanni Bosco, capo dell’ufficio dell’Onu per il coordinamento degli affari umanitari — è un problema che stiamo affrontando al meglio. Cerchiamo di aiutare tutti quelli che rientrano a raggiungere il villaggio di origine. Finora abbiano sistemato 315 mila persone e tutto è filato liscio. Sono in arrivo altre ondate, cercheremo di farcela. Comunque abbiano già sistemato 315 mila persone senza fiatare. Mi domando perché in Italia e in Europa è scoppiato tutto quel finimondo per sole 8 mila persone sbarcate a Lampedusa».