Sergio Bocconi, Corriere della Sera 10/7/2011, 10 luglio 2011
L’EFFETTO RISARCIMENTO SUI DUE GRUPPI RIVALI
MILANO— Da oggi la Cir di Carlo De Benedetti ha virtualmente in mano un «assegno» da 560 milioni. Una cifra che, tanto per dare una prima idea, corrisponde oggi a quasi la metà della sua capitalizzazione di Borsa e una cinquantina di milioni in meno di quella dell’intera Mondadori, controllata al 50%dalla Fininvest. Quotazioni certo penalizzate come tutto il resto dai mercati in caduta libera, ma che rappresentano gli attuali riferimenti per capire quali valori sono sul tavolo. Virtualmente perché la sentenza è immediatamente esecutiva ed entro pochi giorni la società, con il documento registrato, potrà quindi escutere subito la fidejussione «a prima richiesta» da oltre 800 milioni prestata da un pool di banche a Fininvest in favore della Cir (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Monte Paschi e Popolare di Sondrio), esito di un’intesa del dicembre 2009 che ha «congelato» finora il versamento. In teoria è però possibile che l’esecutività venga sospesa per «danno grave e irreparabile» , cioè in sostanza di un fallimento di Fininvest, ipotesi che tuttavia appare allo stato poco verosimile. Inoltre già circolano le voci di eventuali nuove trattative tra le parti, per arrivare magari a un pagamento non cash ma attraverso asset. Voci che tuttavia vengono smentite dalle parti. Dubbi, voci e ipotesi forse inevitabili di fronte una transazione di tale portata, che non può lasciare indifferente nemmeno un «impero» finanziario e industriale come Fininvest Mediaset-Mondadori, e che rappresentano per De Benedetti una somma consistente. Difficilmente spendibile subito visto che si tratta comunque di una sentenza di Appello e che dunque, in attesa dell’eventuale prossimo grado di giudizio, resta sempre la possibilità di un teorico rovesciamento della situazione e quindi dell’insorgere di un obbligo di restituire la somma incassata. Sotto questo profilo i 560 milioni non avranno alcun impatto visibile nel bilancio della Cir, perché andranno contabilmente equilibrati da un debito potenziale. Dall’altra parte la Fininvest non ha effettuato alcun accantonamento in attesa della sentenza. Tutto ciò comunque non ferma né gli scenari sulle possibile prossime mosse dell’Ingegnere, né le valutazioni degli analisti. Diverse case, proprio in vista della sentenza hanno cominciato a fare calcoli sul possibile impatto sul cosiddetto target price (il prezzo obiettivo) del titolo Cir. È stato così ipotizzato un incremento potenziale di 0,09 euro per azione (al netto già delle tasse) per ogni cento milioni di risarcimento definito dai giudici d’Appello, così come alcuni analisti hanno definito il riflesso della sentenza di ieri intorno a 0,7 euro. Certo è che sui mercati circolavano ipotesi ben differenti dai 560 milioni: in realtà le cifre sulle quali si era orientato un certo consenso viaggiavano fra i 300 e i 400 milioni, difficilmente superando quest’ultima cifra. Esercizi da «analisti» , forse. Che comunque danno conto dell’attesa che circolava intorno al pronunciamento arrivato ieri mattina. Difficile dire quale potrà essere l’effettiva reazione della Borsa alla sentenza e quanto del risultato finale non sia già stato scontato dai mercati. Certo è che il gruppo De Benedetti da ieri è sicuramente percepito più solido e forte grazie al maxi assegno teoricamente già in cassaforte. E poiché l’Ingegnere è sempre stato fra i protagonisti più seguiti e suggestivi della Borsa, gli interrogativi su «cosa farà ora» sono destinati ad animare per diverso tempo Piazza Affari. La passione di De Benedetti per i media porta alcuni a ipotizzare che proprio nei media voglia tornare a investire. E gli scenari corrono subito a «La7» oggi controllata da Telecom attraverso Telecom Italia Media, che in Borsa quota circa 320 milioni. Un passo che alcuni vedono coerente con le strategie dell’Ingegnere e anche rivestito di una certa volontà di rivincita, visto l’origine della somma da investire. Va tenuto conto però del fatto che le voci di una tale operazione circolano da tempo e sono già state smentite. Inoltre bisogna considerare che Carlo De Benedetti ha abbandonato da tempo i ruoli operativi nel gruppo lasciando il ruolo di amministratore delegato di Cir e della cassaforte Cofide al figlio Rodolfo e conservando per sé, significativamente, presidenze onorarie e posti in consiglio tranne che nella controllata l’Espresso dove ha incarico di presidente a tutti gli effetti. Rodolfo sembra per così dire aver dimostrato in questi anni una «vocazione» spiccatamente più industriale in senso stretto. E allora, pensando proprio agli equilibri di famiglia e di gruppo, c’è chi pensa più a una spinta verso l’energia, cioè verso la Sorgenia, società creata dal nulla nella fase delle liberalizzazioni e che oggi è il primo operatore privato dietro l’Enel fatturando 2,7 miliardi con oltre 500 mila clienti e programmi di ingresso nel mercato residenziale. Azienda non quotata e quindi non facilmente «pesabile» in questo periodo (si parla di valutazioni post crisi intorno a 1,5 miliardi), ma che da qualche tempo viene indicata in realtà come cedibile dal gruppo Cir. Che ha però sempre negato tale intenzione (pur non smentendo manifestazioni di interesse da parte di gruppi esteri come Verbund, già socio di Sorgenia con il 17%, Gdf-Suez ed Edf), affermando anzi più volte di voler puntare sull’energia con piani di espansione. Nonostante qualche cessione marginale recente nel fotovoltaico. Cosa farà dunque l’Ingegnere con il maxi assegno? Per il momento la sola certezza è che entrano nelle sue disponibilità 560 milioni. Somma che in primo grado era stata determinata in 750 milioni circa. E che successivamente la perizia condotta da un pool di «tecnici» guidati dal superesperto in bilanci e valutazioni Luigi Guatri, ha ridotto del 35-41%, cioè fra i 450 e 500 milioni. Ebbene la perizia che ha determinato la variazione «oggettiva» degli asset tra giugno ’ 90 e aprile ’ 91 è stata decisiva nel determinare la differenza di risarcimento rispetto alla sentenza di primo grado del giudice Raimondo Mesiano. Gli altri fattori che hanno concorso al nuovo giudizio sono la mancata valutazione da parte di Mesiano del calcolo delle azioni Espresso acquistate allora da Cir, il mancato riconoscimento del danno di immagine alla holding di De Benedetti e un ritocco al ribasso della valutazione del danno per «via equitativa» . I giudici d’Appello non hanno infine accolto lo «sconto» del 20%stabilito in primo grado per «perdita di chance» : il provvedimento con cui nel gennaio del ’91 la Corte d’Appello di Roma ha annullato il lodo arbitrale che aveva dato ragione a De Benedetti è stato frutto di corruzione e una sentenza giusta avrebbe respinto l’impugnazione senza quindi consegnare la casa editrice nella mani di Berlusconi. Il nesso è quindi diretto e le chance di sentenza favorevole sarebbero state pari al 100%. Niente sconto, dunque.