Giuseppe Galasso, Corriere della Sera 9/7/2011, 9 luglio 2011
LE VESTALI DELL’ITALIA LIBERALE
F rancesco Ruffini è di quelle personalità che agli inizi del Novecento composero, anche per comuni vicende, quasi il ritratto di famiglia di una vera aristocrazia dello spirito e del pensiero liberale italiano: come Einaudi, Croce, Fortunato, Luzzatti, Casati, Luigi Albertini e alcuni altri. L’Italia sembrava allora ormai avviata sul sentiero di una definitiva promozione alla modernità e alla libertà. Non fu così. Prima la guerra del 1915, poi il fascismo chiusero questa pagina liberale, che non si è più riaperta. Quasi tutta agli ultimi anni di quell’Italia liberale risale la corrispondenza di Ruffini con Luigi Albertini, che — ora edita, insieme agli articoli di Ruffini sul «Corriere» , dalla Fondazione Corriere della Sera, con il titolo Diritti delle coscienze e difesa delle libertà, e affidata alle più che esperte mani di Francesco Margiotta Broglio— dà il senso vivo del dramma morale e culturale, oltre che politico, di quanti non avrebbero mai creduto, prima, che al regime di libertà l’Italia potesse rinunciare. Si capisce, così, la sorpresa di Albertini nell’annunciare a Ruffini, il 26 agosto 1925, il sequestro, pur dopo il cambio del titolo, di un suo articolo: «la mostruosità è avvenuta. Vedi a che cosa si giunge! E forse il "Corriere"di domani non potrà nemmeno, perché si arriva a questa crudeltà, recare la notizia del sequestro di un articolo del sen. Ruffini» . Al che Ruffini rispondeva «con la maggiore prudenza possibile» , perché, diceva, «non vorrei procurarvi il secondo sequestro!» . E già prima, il 28 aprile, Albertini gli diceva di non voler fare al telefono «grandi discorsi» ; e Ruffini rispondeva che già, per suo conto, non si voleva più servire del telefono di Borgofranco, «essendo quell’ufficio il covo dello scarso, ma pettegolo (è in mano di donne) fascismo locale» , e di preferire il telefono di fabbricanti di birra di colà, che aveva «il filo diretto con Ivrea» . Si temeva la soppressione del giornale, e Ruffini considerava un «vero disastro per l’idea liberale, e quindi per l’Italia» , che «l’istituzione "Corriere"avesse a cessare o anche solo a essere sospesa» . La soppressione non vi fu, ma il peggio sì, ché dal «Corriere» gli Albertini furono estromessi e, con nuovi proprietari, se ne affidò la gestione a docili fautori del regime. La collaborazione di Ruffini al «Corriere» si aggirò, comunque, sul tema dei rapporti fra Stato e Chiesa, ossia sul terreno a lui più familiare, anche come autore di studi storici e politici e di dottrine fondamentali, di cui Margiotta Broglio rievoca con intelligente fedeltà il senso e la direzione. Il punto cardinale è che la libertà religiosa è un fondamento essenziale, se non il primo e maggiore, di ogni regime davvero libero. Di questa libertà Ruffini, con profondo senso storico, aveva messo in rilievo nei suoi studi, più che le innumerevoli negazioni, il graduale affermarsi fino al suo pieno riconoscimento in età moderna. In Italia il problema fu complicato, specie dopo il 1870, dalla «questione romana» . Difendere, nel segno di un’integrale affermazione della libertà religiosa, la sovranità dello Stato da ogni compromesso che, per assicurarsi Roma, si fosse voluto praticare ai danni di quella libertà, fu il cardine della posizione di Ruffini anche nel collaborare al «Corriere» . Al fondo, pure per lui, come per Luzzatti, la stessa formula liberale di Cavour, «libera Chiesa in libero Stato» , andava emendata in quella di «libera Chiesa in Stato sovrano» . Ma, questo, lungi da qualsiasi intento di statalismo o di Stato etico o, in genere, meno che del tutto liberale. La sovranità dello Stato è, anzi, concepita proprio come uno scudo a protezione e garanzia della libertà religiosa, con pari diritti e opportunità, di tutti, a cominciare dal cattolicesimo, essenziale per l’Italia, e dalla sua Chiesa, così ricca di ragioni e di titoli storici e morali. Postulato che ieri poteva preoccupare i cattolici più legati a certe forme storiche della presenza della Chiesa nel mondo. Oggi, però, dovrebbe essere apprezzato in tutta la sua pregnanza liberale (lo notava già Arturo Carlo Jemolo) in un mondo in cui fanatismi e intolleranze religiose di enorme virulenza si manifestano proprio mentre sempre più si delineano (anche in Italia) società multiculturali, in cui il pluralismo religioso rende di per sé impraticabile, in un regime di libertà, ogni rivendicazione di speciali privilegi confessionali. È commovente il ritratto di Francesco Ruffini (qui pure pubblicato) nel quale il figlio Edoardo coglie appieno lo spirito di moderno e integrale liberalismo del padre. Non per nulla Ruffini fu tra i 12 professori universitari (su circa 1.800!) che nel 1931 rinunciarono alla cattedra per non giurare fedeltà al regime fascista. In fondo, la libertà di insegnamento è una forma della libertà di pensiero intimamente legata alla libertà religiosa. E Ruffini ben sapeva che la libertà moderna è un tutt’uno, e che solo su questa unità di base possono poi fiorire tutte le particolari libertà che si vogliano coltivare.