Paolo Salom, Corriere della Sera 11/7/2011, 11 luglio 2011
IL PINO SOLITARIO CHE FA SOGNARE IL GIAPPONE
Svetta sulle macerie di quella che un tempo e r a Rikuzentakata, ne l Nord-Est del Giappone, una delle città più devastate dallo tsunami dell’ 11 marzo. Sembra più alto ora che intorno a lui il mare, prima di ritirarsi, ha livellato tutto, come la risacca che azzera gli sforzi fatti per costruire un castello di sabbia troppo vicino al bagnasciuga. Senza troppa fantasia, è stato battezzato dai sopravvissuti il «pino solitario» : perché degli alberi allineati come soldati sul lungomare — la pineta ne contava 70 mila— non rimane che questo tronco con un cappello di fronde sulla cima a trenta metri di altezza. L’Onda li ha abbattuti tutti in un istante. Lui no, ha resistito -forse protetto da un ostello che gli stava di fronte -è rimasto in piedi, meglio: attaccato alle sue radici, e ora è curato e vezzeggiato come un parente. «È il simbolo della nostra possibile rinascita» , ha raccontato Yasumori Matsuzaka, 67 anni, al Wall Street Journal. Yasumori è un insegnante in pensione. Quasi ogni giorno lascia il rifugio dove vive e scende a trovare l’alberello, a parlargli, ad accarezzarlo. Non deve sorprendere questo atteggiamento, comune peraltro a tutti i giapponesi che guardano al pino come uno di loro: è il fondamento dello Shinto, la religione nazionale che attribuisce un kami, uno «spirito» vitale, a ogni cosa, animata o inanimata. È vero al punto che intorno all’albero non si vedono soltanto ex residenti di Rikuzentakata, città di 23 mila abitanti, di cui un decimo vittime dello tsunami. Ogni giorno una squadra di specialisti lo inonda di acqua dolce, avvolge la corteccia di panni umidi a mo’ di bendaggi, scava intorno alle radici per costruire un argine all’infiltrazione di sale, di cui il terreno è ancora impregnato, un veleno che potrebbe uccidere il pino e che ha già pericolosamente alterato il colore delle fronde, ormai brunite come se l’autunno avesse anticipato i suoi effetti, persino su un sempreverde. «Se riusciremo a salvare questo nostro albero — ha detto ancora Matsuzaka — significa che avremo la forza di rialzarci in piedi e ricostruire la nostra vita» . Certo, se alla fine il pino non riuscirà a sopravvivere, la metafora potrà apparire fin troppo amara per i giapponesi, non solo per chi viveva nella zona. Lo tsunami dell’ 11 marzo ha obliterato intere comunità, provocando 23 mila vittime, tra morti e dispersi di cui nessuno saprà mai più nulla. Può peraltro apparire curioso che in un momento come questo, quattro mesi dopo il disastro, qualcuno ritenga doveroso «perdere tempo e fatica» per salvare un albero — cui vengono persino praticate «iniezioni» di antibiotici — quando la ricostruzione è ancora indietro e troppe persone, rimaste senza casa, senza lavoro, senza uno scopo, ancora cercano di rimettere in piedi la propria vita, devastata dalla forza della natura. «Ma è un miracolo che il pino sia rimasto lì, a guardarci dall’alto— dice Futoshi Toba, il sindaco di Rikuzentakata— la sua presenza dà speranza a noi tutti» . Nelle settimane seguite allo tsunami più volte si è temuto il peggio. Esperti arrivati anche da altre città si sono dati da fare intorno al pino solitario applicandogli tutte le cure possibili. Ma forse il destino di questo albero è stato segnato quando il mare è uscito dal suo regno per invadere quello degli uomini e nulla potrà cambiarlo. In questo caso? «Faremo— conclude Matsuzaka — come abbiamo fatto altre volte in passato: ripianteremo la pineta esattamente dov’era».