Pietro Citati, Corriere della Sera 9/7/2011, 9 luglio 2011
BANVILLE, MCEWAN, VON REZZORI: ECCO PERCHE’ SONO FIGLI DI NABOKOV
Da almeno quarant’anni, sulla narrativa europea incombe una possente influenza, che continua ad espandersi e a dilatarsi: quella di Vladimir Nabokov. Quest’influenza è, nell’insieme, molto positiva: mentre i proustiani erano gracili (e non capivano Proust), gli joyciani deformi e i manniani inesistenti, Nabokov ha portato, in letteratura, un’ondata di felicità, gioia ed estro verbale. Un ermellino a Cernopol di Gregor von Rezzori è un capolavoro; e Solar di Ian McEwan e Teoria degli infiniti di John Banville (Guanda, traduzione di Irene Piccinni, pp. 320, e l8) sono libri di primissimo rilievo. Il primo segno di uno scrittore nabokoviano è di trovare le parole, come scrive Banville, «così amichevoli, così accomodanti, così blandamente adattabili» . Esse suscitano in lui una specie di euforia: vogliono essere trasformate e violate: pretendono che egli gorgogli nel profondo della gola, come se la letteratura fosse un gargarismo; e giochi, ostenti, esclami, blateri, talora esploda. Quella nabokoviana non è una vera scrittura narrativa: ma una voce monologante, che prende le apparenze di un personaggio, e ama moltissimo intrecciarsi e fondersi con un’altra voce monologante, che a sua volta si maschera dietro un’altra voce. Tutto ondeggia e fluttua, fino a quando, di colpo, si incorpora in una splendida metafora, o in un teatrino di sfacciatissime metafore. Così nasce il grottesco di Nabokov e dei suoi allievi. La Teoria degli infiniti di John Banville è pieno di dèi: gronda di dèi, come il mare di pesci. Certo, essi passeggiano tra le nuvole, salgono per i viottoli dell’Olimpo, formano una specie di società segreta: ma non hanno mai lasciato il nostro mondo, come ingenuamente gli uomini credono. Stanno tra noi: nelle case, nelle strade, nei giardini; e specialmente nei romanzi, per i quali provano una spiccata simpatia. «Fingono di essersi ritirati» , scrive Banville: ma, di tanto in tanto, non sanno resistere, e rivelano agli uomini «la persistente nostalgia» che covano per loro. Qualche volta sono timidi, perché non vogliono intervenire nelle cose, mutando ciò che è stabilito da tanto tempo. Gli dèi si accontentano di «origliare» . E, quando origliano, con attenzione e cupidigia, si accorgono che oggi gli uomini, un tempo loro schiavi, sono liberi; e hanno inventato una cosa che essi non conoscono più — l’amore mortale-immortale. Gli dèi amano gli uomini: si meravigliano delle loro distinzioni e dei loro sofismi; e vogliono giocare con loro e con le loro misteriose esistenze. Tra gli dèi, Banville ha eletto Ermes come narratore, o come voce monologante. In quanto nabokoviano, non aveva altra possibilità di scelta. Dopo tremila anni, Ermes non è molto mutato: è ancora l’imbroglione, il losco, il ladro di greggi, il protettore dei truffatori e degli scommettitori, l’accompagnatore dei morti, il viaggiatore, il variegato, l’affascinatore, chi lusinga, sveglia ed addormenta. Ai tempi di Omero, quando volava a sandali aperti nel nitidissimo cielo greco, era più lieve ed elegante: oggi, in Irlanda, vive in un cielo pieno di nuvole, tempeste e raffreddori. Ma ha conservato il suo timbro distaccato e giocoso di narratore; e il suo colorito nabokoviano gli piace moltissimo. Non racconta, parla: è sempre vicinissimo alle nostre orecchie; vi versa spudoratamente ironie, sputi, buffonate, gorgogli, brontolii, notizie prive di qualsiasi veracità e verisimiglianza. Sotto i piedi di Ermes, c’è un mondo umano, che egli ha ereditato o inventato, e dove si insinua, si maschera e si nasconde. Questo mondo è una casa: vediamo, ascoltiamo, osserviamo tutti i mobili, i letti, le cortine, i lenzuoli, i cuscini, le tazze da tè, le porte che si aprono e si chiudono, i cani che abbaiano; la densa, quasi intollerabile atmosfera traspirata dai corpi umani. Al centro sta il vecchio Adam, che ha dedicato tutta la vita a studiare le realtà invisibili, le particelle dove si affolla «un’infinità di infiniti» . Adam sta morendo molto lentamente: vive in un regno intermediario, dove giungono le notizie della vita e della morte; e attorno a lui tutto è immerso nel profumo di ciò che scompare e si dissolve.