Antonio Pascale, Saturno-il Fatto Quotidiano 8/7/2011, 8 luglio 2011
SIATE OTTIMISTI, FARÀ UN BEL CALDO - IN FONDO È UN VECCHIO
dilemma: per analizzare la società è utile la visione apocalittica o quella ottimistica? Scienza e tecnologia ci saranno d’aiuto? A giudicare dai commenti ai post, una parte dei lettori del Fatto non prova molta simpatia né per il metodo scientifico né per la tecnologia: la sinistra affronta le suddette questioni con molti se e molti ma. Ora, le innovazioni nascono con l’uomo, però è anche vero che solo di recente hanno prodotto risultati palpabili. Il primo grafico che ho visto durante il corso di agronomia raffigurava la resa media t/ha dei cereali, dalla nascita delle prime comunità agricole fino ai giorni nostri. La linea scorreva pressoché orizzontale all’asse delle ascisse . Per millenni, quindi, la resa media si è mantenuta al di sopra della tonnellata ettaro. Solo con la rivoluzione verde la quota si è portata attorno a 7 t/ha.
Se allora la storia del progresso dell’umanità è noiosa da raccontare, una cosa è sicura: con la nascita dell’agricoltura abbiamo detto via via addio al concetto di natura e abbiamo introdotto l’idea di cultura – efficaci in questo senso sono i precisi argomenti contenuti nel libro di Gianfranco Marrone, Addio alla natura (Einaudi). La cultura è qui intesa come insieme di tecniche. In effetti, nei secoli scorsi possiamo contare molte innovazioni: l’importazione di nuove specie vegetali dal Nuovo Mondo, l’invenzione degli aratri con lama in metallo, molto più efficienti, e delle bardature che sfruttavano meglio la forza degli animali, l’introduzione del cavallo da tiro e la successiva selezione di razze particolarmente robuste. E allora, come mai per millenni il reddito pro capite non accennava a crescere? Nel 1798 il reverendo Thomas R. Malthus nel suo Saggio sul principio di popolazione ci dice che ogni aumento delle risorse alimentari, dovuto a miglioramenti nelle tecniche agricole, induce un aumento della popolazione. Questa tenderà a crescere più velocemente delle risorse. Insomma, la torta è sì più grande, ma i pretendenti sono più numerosi. I progressi tecnici finiscono per innescare un disastro. Il concetto di trappola malthusiana ha fatto scuola e oggi, in fondo, la visione apocalittica si basa su rivisitazioni della teoria di Malthus. Le risorse scarseggeranno per l’effetto dell’incremento demografico e del cambiamento climatico di origine antropica – Giovanni Sartori spesso insiste su questi punti. All’opposto, il libro 2050 di Laurence Smith (Einaudi) racconta come i cambiamenti climatici porteranno a un mutamento dell’asse geopolitico, e non certo a una catastrofe.
Kevin Kelly, nel suo libro Quello che vuole la tecnologia (Codice) spiega che la rivoluzione industriale ha reso possibile evitare la trappola malthusiana. Da allora la capacità di conoscere e di innovare sono diventate un’attività sistematica. Le innovazioni e le scoperte non sono più occasionali, ma vengono ricercate e applicate. Come se la conoscenza accumulata nei secoli avesse raggiunto una massa critica e innescato una reazione a catena inarrestabile. La tecnologia, sostiene Kelly, «vuole ciò che vogliamo anche noi. Molte cose, ma soprattutto l’aumento delle possibilità umane». L’aumento delle possibilità umane è la ragione per cui bisognerebbe avere simpatia per il pensiero di sinistra. Però conviene sostituire l’atteggiamento di simpatia coatta con quello dell’ottimista tragico. I miglioramenti arriveranno e saranno democratici se e solo se sapremo con competenza e metodo valutare il loro aspetto tragico. Il progresso porta con sé un disagio, il disagio l’inquietudine, l’inquietudine la conoscenza, la conoscenza ci dona una parziale soluzione ai problemi. Insomma, una fatica, quella degli ottimisti tragici.