Salvatore Bragantini, Corriere della Sera 8/7/2011, 8 luglio 2011
SE LA FINANZA (INCONTROLLATA) SCOMMETTE CONTRO GLI STATI
Prevale una visione moralistica della crisi del debito sovrano, che sarebbe dovuta agli sperperi delle cicale meridionali; così si scambia la causa con l’effetto, ha scritto sul «Sole 24 Ore» Vincenzo Visco. La finanza pubblica soffre per la recessione succeduta alla crisi finanziaria; non viceversa. Per ricreare gradualmente un nuovo equilibrio non serve contrarre ancora l’economia. Le recessioni seguite alle grandi crisi finanziarie ci mettono un’infinità ad andarsene: da quella del ’ 29, scrisse Krugman, si uscì solo col grande programma di lavori pubblici più noto come Seconda guerra mondiale. Non possiamo però contare sui contribuenti nordici per sgonfiare lo spread con i titoli tedeschi, ormai oltre il 2%; non ci sarà risparmiata l’indispensabile «operazione verità» . La crisi finanziaria era crisi del debito privato, ed è arrivata al debito pubblico, facendosi crisi «sovrana» , quando gli Stati si sono indebitati per pompare denaro nel sistema e ricapitalizzare le banche al collasso. Luciano Gallino si chiede su «Repubblica» perché gli Stati Ue, che han ricapitalizzato le proprie banche per oltre 3.000 miliardi, non riescono a concordare come dividersi le poche centinaia di miliardi necessari per arginare la crisi sovrana. Perché i nuovi miliardi si sommano ai vecchi 3.000; perché chi ha detto agli elettori che la crisi è colpa delle cicale meridionali non vuol fare la figura di Babbo Natale; perché a seconda di come sarà risolta la crisi «i mercati» attaccheranno la prossima preda. Fermiamoci su questo punto. Usa e Ue han salvato dall’abisso le banche quando ai «padroni dell’universo» nessuno dava più benzina. Fatto il pieno, essi han subito ripreso a correre a duecento all’ora. Le banche — quelle vere e quelle «ombra» loro legate — di nuovo scommettono contro gli Stati, che siano quelli che le han salvate, o altri, la cui crisi avrebbe durissime conseguenze su tutti. Concentrare le operazioni sui Cds (credit default swap) in mercati trasparenti e garantiti ne ridurrebbe il rischio, ma anche i guadagni; per questo è osteggiato da chi profitta dell’opacità. Andiamo oltre; a chi serve che «i mercati» sempre puntino una preda? Qualcuno pensa che l’euro e la stessa Ue sopravvivrebbero a una crisi del debito spagnolo? «Mi vengono in mente opinioni che non condivido» , direbbe Altan; che ci sia una sorta di incompatibilità fra mercati finanziari liberi e Stati nazionali democratici, fatto salvo solo il più virtuoso? L’immemore finanza rischia di disfare quel che la democrazia, e le tragedie della storia, han costruito; divenuta arrogante padrona, torni umile ancella. Nell’apparente calma sociale, sfugge la gravità dell’ora, che impone decisioni drastiche. Il potere democratico deve ovunque impedire alla finanza continui rilanci di scommesse a rischio sbilanciato (più rischio, più vinco, ma se perdo paghi tu); urge aumentare la concorrenza negli Stati, e al contempo accentrare. Dato che il mercato unico dei servizi finanziari è lontano, Bruxelles dovrà intervenire sulle posizioni dominanti nazionali: serve più concorrenza nei mercati, rimasti separati. Poi va unificata la vigilanza sui grandi gruppi bancari, finanziari e assicurativi, ancora ottusamente divisa. Soprattutto, va accentrata la sorveglianza dei grandi gruppi dell’eurozona. L’errata diagnosi sulla crisi — addebitata alle cicale e non alla preesistente crisi finanziaria— impedisce ai «virtuosi» di aiutare i «viziosi» . Il viluppo fra crisi finanziaria e crisi sovrana si spezza solo affidando la supervisione dei grandi gruppi a un’entità competente per tutta l’eurozona; con un prestatore europeo di ultima istanza e creando quel ministero delle Finanze dell’eurozona evocato ad Aachen da Trichet. I trasferimenti cross-border apparirebbero per quel che sono. Le banche investirebbero meno nei titoli del loro Stato, il che darebbe spazio di mercato agli auspicati, pur se ancora confusi, eurobond. Sarebbe più facile il rientro anche dalla crisi sovrana. Chi ha buona coesione sociale e meno disuguaglianza (come la Germania), ha più facilmente consenso sul risanamento. Il pescatore greco non ci sta, se pensa che il ricco armatore evaderà come prima, e sposterà in più sicuri lidi le sue ricchezze. Anche da noi, il consenso su misure che riaggiustino il valore interno dell’euro ci sarà solo chiamando a contribuire chi più ha profittato dello scalino dei prezzi legato al changeover. Se il rischio poi fosse la dissoluzione dell’eurozona, andrebbe contrastato a qualsiasi prezzo, inclusa qualche perdita di valore della moneta, di cui è custode la Bce. Sarebbe come la vecchiaia: sempre meglio dell’alternativa.