GIAMPAOLO VISETTI, la Repubblica 7/7/2011, 7 luglio 2011
FILM, HOTEL E AFFARI D´ORO BENVENUTI A "CHOLLYWOOD"
La Città Proibita sorge tra le ciminiere di una raffineria di petrolio. Il Palazzo d´Estate, immerso nei giardini imperiali della dinastia Qing, emerge tra un grattacielo e uno shopping center. Duecento case dal tetto a pagoda, con la tradizionale corte centrale, sono affacciate lungo un fiume in cui navigano le barche dei principi Ming. Cento metri più in là, la più alta statua di Buddha della terra è nascosta in una caverna scavata tra il monte Fuji e un vulcano scosso dalla lava incandescente di un´eruzione. Sullo sfondo, dietro un´isola tropicale, cresce una fitta foresta di bambù, interrotta da capannoni industriali che affiorano in una landa deserta.
Benvenuti a "Chollywood", 2500 ettari, il più grande studio cinematografico del pianeta, aperto nel mercato dei film con la crescita più rapida del mondo. E´ l´ennesimo prodigio della Cina "no-limits". In quindici anni un anonimo villaggio contadino di diecimila braccianti analfabeti si è trasformato nella più impressionante città del cinema dell´Asia, 70 mila residenti, sorpassando il mito Usa di Hollywood e apprestandosi a bruciare i record indiani di Bollywood. La ricetta della nuova capitale della fiction, più grande di Universal e Paramount messi assieme e specializzata nelle produzioni 3D, è quella classica cinese: costi minimi, flessibilità massima, dimensioni uniche, lavoro no stop e problemi zero. Dal 1996, quando l´anonimo villaggio a sudovest di Shanghai partì con una finta via di Hong Kong per tagliare le spese di una pellicola con Bruce Lee, sono stati girati qui oltre 800 film, tra cui "La tigre e il dragone", "Hero", e "La Mummia 3". Ed è grazie all´exploit di Hengdian, nome originario di quella catena di montaggio delle fiction che sono oggi gli "Hengdian Worlds Studios", se la locomotiva cinese dal 2012 sarà il secondo mercato mondiale del cinema, dietro agli Usa, mentre ha chiuso il 2010 con dati da fantascienza: più 64% di guadagni ai botteghini, un giro d´affari da 1,5 miliardi di euro, 6700 sale, raddoppiate in tre anni.
Pechino punta sul cinema per consolidare la propaganda interna, promossa a colpi di kolossal patriottici, e per espandere il proprio soft power globale, affermato a suon di acrobatici blockbuster. La nuova metropoli mondiale delle video-favole, che i locali chiamano "Chinawood", è però prima di tutto il business straordinario di mister Xu Wenrong. Ex coltivatore di riso, 76 anni, il signor Xu è il proprietario unico degli studios made in China, nonché di alberghi, ristoranti e negozi a disposizione di produttori, registi e star internazionali che si contendono le scenografie di Hengdian per sfornare successi a prezzi da saldo. «Qui offriamo tutto e siamo in grado di creare un mondo e un´epoca in pochi giorni - dice Xu Wenrong - Ma se abbiamo superato Hollywood è perché costiamo un decimo».
Tra le quinte della Cina imperiale, affiancata dalla versione in scala delle torri di Tokyo, lavorano 3 mila comparse. Quando non si gira tornano a piantare pomodori, o a lavorare in fabbrica. La paga media è di 7 euro a giornata, 1200 all´anno. Chi accetta di rasarsi il capo ne racimola altri 4. I più richiesti sono i campioni di arti marziali, i cavallerizzi, i pirati e le danzatrici orientali: tutta gente del posto, che ha abbandonato i campi per la scommessa della fama. Vivono qui anche tre sosia di Mao e due gemelli di Confucio, scoperti da mister Xu in persona in una serra di cocomeri. Un miracolo: Hong Kong, Taiwan e Bombay considerano già Hengdian «la migliore industria di cinema del mondo» e stelle come Jackie Chan e Jet Li trascorrono mesi nelle suite del Vip Hotel, 44 euro a notte, l´unico nel raggio di trecento chilometri.
Presto "Chollywood" sarà completata da vigneti e cantine, montagne innevate e castelli europei, più la replica dei maggiori monumenti occidentali, a partire da Colosseo, Notre Dame, Westminster e statua della Libertà. Ogni film, politicamente corretto dai funzionari della censura, potrà allora uscire dai capannoni della grande delocalizzazione della fiction mondiale. «Il primo Oscar è questione di tempo - dice Xu Wenrong - ma io non ho mai visto un film. Non ho tempo e ora devo ricostruire la Monument Valley». E´ l´ultima frontiera: spaghetti-western alla pechinese.