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 2011  luglio 07 Giovedì calendario

DALLA BANDA AI NUOVI PADRONI DI ROMA LE DUE VITE CRIMINALI DEL "SOR ENRICO" - ROMA

Poco più di un anno fa, l´ultima volta che rispose al telefono dal salotto della sua villa di Torre Gaia, diciamo che non fu troppo loquace e manifestò un certo fastidio per le domande sul suo presente, prima ancora che sul suo passato: «Vattene affanculo. Quando te pijo te spacco la testa come un melone». Del resto, arrivato a 75 anni, Enrico Nicoletti risposte da dare non ne aveva. Non ne ha mai avute. Perché non è mai uscito dal giro. Perché non ha mai cambiato mestiere. Oggi, vecchio e malconcio (era ricoverato in clinica nei giorni scorsi, come da una vita gli capita quando sente avvicinarsi le manette), se ne va al "gabbio". Con accuse (associazione a delinquere, truffa, riciclaggio, millantato credito, falso, usura) che, come un calco, si sovrappongono a quelle di quarant´anni fa. Quando ripuliva i soldi della Banda della Magliana e del suo ultimo capo riconosciuto, Enrico De Pedis, "Renatino" (cui era stato presentato da Danilo Abbruciati), arrivando a gestire lo "strozzo" durante la pausa pranzo in un´agenzia del Banco di santo Spirito a Centocelle. Quando aveva scoperto che i soldi si fanno con i soldi. Una montagna (nel 1990, la Guardia di Finanza stimava i suoi beni e quelli di cui era custode o prestanome in 2 mila miliardi di lire). Quando la Roma che contava - magistrati (Claudio Vitalone), politici (Giulio Andreotti, Vittorio Sbardella), cardinali - faceva la fila per baciargli la pantofola nella sua villa di porta Ardeatina (comprata dal clero e, dopo la confisca, diventata oggi la "Casa del Jazz" del Comune di Roma), arricchendo un sistema di relazioni che è passato indenne all´usura del tempo, che ha cementato complicità trasformandole in ricatti.
È accaduto così che per quarant´anni hanno continuato a definirlo con neutra deferenza «un imprenditore». Lui, che all´anagrafe tributaria, risulta da sempre «nullatenente». Ma imprenditore di che cosa? Di una ricchezza, quella della Banda della Magliana, di cui lui, inopinatamente, nel momento in cui la Banda si sfalda tra lutti e condanne, diventa, da gestore e "cassiere" quale era, unico erede. Soprattutto perché lui, che ha amici che contano, di galera ne fa poca e niente, e le cose processualmente vanno tutt´altro che male. Almeno fino a un paio di anni fa, quando al casellario giudiziario risulta ancora una sola antica condanna a tre anni e mezzo per la sua appartenenza alla Magliana (2000).
Già, vive tranquillo il "sor Enrico". Fino a quando non si ritrova addosso un pubblico ministero, Lucia Lotti (oggi Procuratore di Gela) che nel 2008 gli fa prendere 12 anni per associazione a delinquere, estorsione e riciclaggio. Una sentenza difesa con successo, in appello, da un suo altro acerrimo nemico, il sostituto procuratore generale Otello Lupacchini, e ora in attesa della Cassazione (dove nel frattempo, nove mesi fa, sono diventati definitivi 4 anni per bancarotta). Una sentenza che ha un pregio. Mettere sotto gli occhi di tutti, o almeno di chi ha voglia di guardare, quello che a Roma tutti sanno. Anche le pietre. Che c´è un pezzo importante della storia della Banda che ha attraversato indenne poco meno di mezzo secolo e due repubbliche. Che ha poco a che vedere con vecchie e ingiallite foto di "nera" degli anni ‘70, ma molto a che fare con la Roma di oggi.
Nicoletti - e l´inchiesta della Procura distrettuale antimafia di Roma per cui ora va in carcere lo documenta - controlla il mercato dell´usura e del riciclaggio sull´intero quadrante cittadino. Traffica in aste giudiziarie (arrivando a chiedere il 38 per cento del valore dell´immobile trattato a titolo di mediazione). Ripulisce denaro nero come la pece. E per farlo si appoggia a una rete di spicciafaccende che gli sono accanto da una vita e con lui hanno messo i capelli bianchi (tra loro, Alessio Monselles), a due figli ormai adulti (Massimo e Antonio, che tratta da padre-padrone) e, soprattutto, a due solide stampelle. I Senese (Camorra) e i Casamonica, suoi storici esattori, prodotto autoctono di Roma est, di cui sono i padroni. Ai Senese e ai Casamonica vende i crediti a strozzo "incagliati", quelli che non riesce ad esigere dai suoi disgraziati debitori o truffati. Perché loro hanno ottimi argomenti per riscuoterli. Una mazza da baseball o una tanica di benzina.
La Cabala ha voluto che il "sor Enrico" entri in carcere ventiquattro ore dopo l´esecuzione di Flavio Simmi, figlio di un uomo ("Robbertone") con una storia che Nicoletti conosce, perché vissuta all´ombra di uno stesso padrone: la Banda della Magliana. E nella coincidenza c´è in qualche modo una conferma e una traccia. Che se è vero che la Storia, anche e soprattutto quella nera non si ripete, che i giorni di "Renatino" sono finiti per sempre, forse è ricominciando a guardare a quella Storia, ai suoi epigoni per troppo tempo dimenticati o ignorati, che sarà possibile venire a capo del perché si può tornare a morire ammazzati in pieno giorno con nove colpi al petto.