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 2011  luglio 08 Venerdì calendario

Sordi voleva fare un film sul Duce Ma fu minacciato e lasciò perdere - Ce lo vedete Sordi che fa Mussolini? Certo più di Gassman (troppo alto), di Mastroianni (troppo pacioso) e anche di To­gnazzi e di Manfredi

Sordi voleva fare un film sul Duce Ma fu minacciato e lasciò perdere - Ce lo vedete Sordi che fa Mussolini? Certo più di Gassman (troppo alto), di Mastroianni (troppo pacioso) e anche di To­gnazzi e di Manfredi. Nessuno degli altri quattro moschettieri della commedia avrebbe potuto impersonare il Duce meglio. O meno peggio. Ma era pura fanta­scienza, almeno fino a ieri. Quando è venuto fuori che a Sor­di, sempre contrario a interpre­tare personaggi reali, era venuto il ghiribizzo di diventare il Cava­lier Benito. Niente a che vedere con la politica, per carità: in vita sua Albertone se ne era sempre tenuto distante, manifestando, massima concessione, una blan­da simpatia per la Dc dell’amico Andreotti. E allora? Sordi intendeva tra­sformarsi per lo schermo in un Mussolini pantofolaio, tutto casa e famiglia. Lui disse: «Mi venne in mente a Venezia: un giorno sulla spiaggia c’era De Feo che faceva Mussolini che suonava il violino e faceva molto ridere. Qualcuno mi disse se ci avevo mai pensato a fare Mussolini. Ri­sposi che mi sarebbe piaciuto ve­dere a tavola mentre mangiano che cosa ne pensano i figli di quello che lui ha presentato dal balcone al popolo, che cosa ne pensa la moglie di questa amici­zia con Ida, le raccomandazioni che gli faceva la famiglia. Ho sa­puto che donna Rachele dava anche dei bei “sganassoni”. Io lo avrei arricchito con particolari umani che mi inducevano a pen­sare che un italiano può, non im­pazzire, ma diventare un altro con questo consenso di tutto un popolo». Sembra quasi uno dei ritratti deamicisiani dell’Istituto Luce: neanche l’ombra di un’amante e la guerra ancora lontanissima. Forse il lettore co­mincerà a spazientirsi: ma com’è che questa gustosa storia salta fuori solo ora? Semplice. Una giornalista, Maria Antonietta Schiavina, in due anni di certosi­no lavoro ha raccolto in centina­ia di nastri le confidenze del grande attore. Molti aneddoti so­no stati raccolti in un libro del 2003, Alberto Sordi. Storia di un commediante (Zelig), ma svariati altri sono del tutto inediti, come appunto il Sordi-Mussolini, te­nuto nascosto fino a oggi per espressa volontà dell’attore che preferiva non rivelare tutto. Un binomio, a dir poco bizzarro, che sarà certo il piatto forte della se­rata in calendario domani a Car­rara (alle 21, in piazza Alberica). L’idea è venuta al sindaco della cittadina toscana, Angelo Zubba­ni, che l’ha messa a punto col giornalista radiofonico Igor Ri­ghetti. Con loro sul palco il pena­lista di mille battaglie Nino Ma­razzita, il paparazzo della Dolce Vita Rino Barillari e, ovviamente, la Schiavina, la quale dovrà rin­tuzzare le tante domande dei cu­riosi. Una delle quali precederà tutte le altre: come mai di quel Mussolini targato Sordi non si fe­ce più nulla? La risposta, che sgorga dalle parole dell’attore, in viva voce su nastro, lascia scon­certati: «Mi arrivarono centinaia di telegrammi dall’America del Sud che mi dicevano di non far­lo, minacce». Il periodo della grande tentazione cinematogra­fica non è indicato, quindi gli au­tori degli imprecisati altolà sono di ancor più ardua individuazio­ne. Comunque, immaginiamo che quei telegrammi furono ab­bastanza «convincenti» per raf­freddare i bollori di Sordi, di cui tutto si può dire tranne che fosse un cuor di leone. Peccato, perché quel Mussoli­ni con ogni probabilità sarebbe stato davvero godibile. Meno gi­gione del Rod Steiger diretto da Lizzani nel ’74 ( Mussolini ultimo atto ) e meno caricaturale del Mario Adorf diretto da Vancini l’anno prima ( Il delitto Matteot­ti ). Nel vastissimo amarcord del­la Schavina risulta che Sordi pensava a un «Mussolini a casa quando con il cavallo saliva i gra­dini di Villa Torlonia e la gente sveniva guardandolo, nonché ai rapporti con i figli e la moglie». E invece niente. Così dovremo ac­contentarci di un Sordi fascista in sedicesimo. Esemplare peral­tro. Come il Sasà Scimoni di L’arte di arrangiarsi (Luigi Zam­pa, 1955) che attraversa mezzo Novecento, saltando sempre, da perfetto italiano, sul carro dei vincitori. Quindi dopo essere sta­to interventista e prima di passa­re tra i comunisti, si infila l’orba­ce e fa il saluto romano. È in Abissinia nel 1941, quando nei panni del capitano De Blasi cat­tura il maggiore britannico Ri­chardson (David Niven): succe­de in I due nemici (Guy Hamil­ton, 1961): finirà lui prigioniero degli inglesi: ma Niven che nella scena finale gli strizza l’occhio resta un pezzo di grande cinema. Anche se lontano dal capolavoro di Luigi Comencini, Tutti a casa (1960), dove il cocciuto tenente Alberto Innocenzi nell’Italietta del dopo 8 settembre non sa più chi sono i nostri alleati, ma con­tinua a combattere come gli è stato ordinato. Anche il Mussoli­ni non più Duce sarebbe stato fiero di lui.