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 2011  luglio 08 Venerdì calendario

IL JUKE BOX DEL NAZISMO

Expo di Parigi, 1937. Due grandiosi padiglioni si fronteggiano. Torri alte più di cinquanta metri. Su una, una coppia di lavoratori sovietici. Sull’altra un’aquila germanica. Quattro anni prima di misurarsi sui campi di battaglia, i due regimi totalitari si fronteggiano a colpi di simboli.
Joseph Goebbels era fissato con i simboli. Il simbolo era arte e l’arte propaganda. E, quando, il 13 marzo 1933, diventa ministro dell’Educazione popolare, il suo primo atto è «appropriarsi» della prestigiosa orchestra dei Berliner Philharmoniker. Approfitta della sua crisi finanziaria per trasformarla nell’Orchestra del Reich. Nessuno storico si era mai cimentato con la ricostruzione delle vicende del «juke box» del nazismo, come lo definisce il canadese Misha Aster, che oggi ha colmato la lacuna (L’Orchestra del Reich, Zecchini editore, pp. 340, euro 25).
A volte i numeri dicono tutto. Nel ’34-’35 l’orchestra suona all’ombra della svastica in 178 concerti per 151.702 spettatori. Nell’agosto del ’36 si esibisce per la prima volta al raduno annuale del partito nazista a Norimberga: in un giorno totalizza più ascoltatori della metà di quelli raccolti in tutta la stagione precedente. Nel biennio ’40-’41 la ascoltano, dal vivo, (esclusi raduni e giochi olimpici) 222.866 persone. Mai, nei loro 129 anni di esistenza, i Berliner avevano fatto tanti concerti (e in tanti Stati esteri) come sotto il Terzo Reich.
Nel 1935, i gerarchi nazisti convincono il leggendario direttore dei Berliner Wilhelm Furtwängler a dirigere al raduno di Norimberga. Ma lui, che nel ‘36 avrebbe ceduto su tutto, quell’anno accetta solo a patto di guidare un’orchestra locale, con il rinforzo di alcuni Berliner. Annota il violinista Werner Buchholz: «La sala era piena dell’entusiasmo... in prima fila c’era il governo del Reich. Improvvisamente il rumore si tacque... il Führer era entrato... con l’affascinante calore che la sua persona promana, salutò noi tutti che ci eravamo alzati in piedi. Avvertiamo la grandezza del momento che stiamo vivendo e al quale abbiamo avuto la grazia di partecipare».
Goebbels considerava i Berliner simbolo supremo dell’arte ariana. Perché? Ancora Buchholz: «È la performance di una intera orchestra, con la sua disciplina artistica, il suo colore legato alla razza, il suo specifico stile esecutivo, a ergersi a rappresentante della Patria».
Poi qualcosa si spezza. Nel ’35 volantinaggi antinazisti durante il tour inglese, nel ’40 proteste a Belgrado e Zagabria, nel ‘42 fischi nella Francia di Vichy. Il 30 gennaio ’44, a undici anni esatti dalla nomina di Hitler a cancelliere, la Philarmonie di Berlino viene rasa al suolo dalle bombe inglesi.
Il nazista Illustrierter Beobachter afferma: «I Berliner sono una branca dei servizi segreti». A proteggerli è l’architetto del Reich, Albert Speer. Fino alla «denazistificazione» postbellica. Da cui risorgeranno. Eredi, scrive Aster, di «un patrimonio visionario». Che per oltre un decennio aveva alimentato un mostro.