Guido Gentili, Il Sole 24 Ore 7/7/2011, 7 luglio 2011
TAGLI, TASSE E BALLETTO DEI NUMERI
Alcune certezze: come nel 2010, anche nel 2011 e nel 2012 l’Italia centrerà gli obiettivi sulla riduzione del deficit pubblico rispetto al Prodotto interno lordo (rispettivamente 3,9% e 2,7%), così come già avvalorato dalla Commissione europea.
Due conferme, una buona ed una cattiva. La prima: si viaggia verso lo storico obiettivo del pareggio di bilancio nel 2014, il che rappresenta il presupposto per ridurre strutturalmente il debito pubblico. La seconda: se è vero, come ha detto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che la crescita non la fa un atto di Governo, è altrettanto un fatto che la spinta, su questo terreno, è impalpabile come la riforma fiscale che avrebbe dovuto alleggerire, nei prossimi anni, il carico fiscale che grava su cittadini e imprese. La legge delega licenziata la settimana scorsa dal Governo, servirà piuttosto a reperire quei 17 miliardi necessari a rimpinguare la manovra di correzione contenuta nel decreto che, da sola, si ferma a 25 miliardi. E non basta l’elencazione delle voci del decreto che compaiono sotto il capitolo-sviluppo a ribaltare l’impressione che sul terreno della crescita, davvero, non c’è quella sterzata forte di cui un Paese quasi immobile avrebbe bisogno.
Non che l’obiettivo del pareggio di bilancio sia poca cosa. Al contrario. Le violente turbolenze che attraversano l’Europa ed i suoi mercati da un capo all’altro confermano che non è tempo di fumose "terze vie". Parlare di sviluppo senza prima averlo ancorato ad una rigorosa politica di bilancio è cosa non seria per un Paese, come l’Italia, che ha un rapporto debito/Pil pari al 120 per cento. Sotto questo profilo, Tremonti e il Governo fanno bene a tirare dritto e gli slogan risuonati ieri (del tipo "siamo alla macelleria sociale") suonano come note vecchie e storte. Però confusione, reticenze ed incognite non mancano davvero. Il balletto sui numeri della manovra è andato in onda per giorni, tra bozze, fughe avventurose di notizie e spiegazioni parziali. Solo ieri sera il comunicato n° 98 del ministero dell’Economia ha chiarito che la correzione pluriennale dei conti pubblici (concentrata nel biennio 2013-2014, così come concordato in Europa) vale a regime 40 miliardi, di cui 25,3 sono previsti dal decreto e 14,7 (garantiti con un clausola di salvaguardia applicativa) sono affidati ai soli principi della delega fiscale e assistenziale.
Archiviata con fatica l’opaca e ingloriosa pagina sulla norma "ad aziendam" che bloccava i risarcimenti in sede civile, si poteva almeno tentare di frenare un altro grave deficit, quello comunicativo. Spiegando chiaramente che andiamo verso una stagione di duri e necessari tagli alla spesa che si sommano ad una forte dose di attivismo sul fronte fiscale per reperire risorse in tempi brevissimi e certi, a partire dalla tassa sul deposito titoli. Certo, si capisce quanto sia difficile per un Governo di centrodestra ammettere, in definitiva, che qualche mano o manina fa sgradito ingresso nelle tasche degli italiani sotto forma di patrimoniale. Però schermare la realtà non serve, e serve ancora meno soffermarsi sulla liberalizzazione delle stazioni di servizio o sull’attività di studio in vista della riforma delle professioni. E sarà anche vero che per i costi della politica, col criterio degli standard europei, si va (per legge) verso una rivoluzione, ma rimane anche qui forte l’impressione che su questo terreno si sia perso molto tempo ed altrettanta credibilità per una maggioranza di Governo che aveva promesso di abbatterli già qualche anno fa.
Le prospettive della manovra (scontato un duro braccio di ferro con gli enti locali) potrebbero migliorare se il confronto in Parlamento andasse al merito dei problemi avendo come bussola il pareggio di bilancio e la necessità assoluta di approvarla prima delle ferie estive. Tutto serve meno che una discussione di maniera dura nei toni ma sterile nei contenuti tra maggioranza ed opposizione. Questa sì che sarebbe una svolta. Cambiare si può, ma in tempo e per fare di meglio, non per annacquarla.