Lucia Capuzzi, Avvenire 7/7/2011, 7 luglio 2011
L’ORO CHE DIVORA L’AMERICA LATINA
La ’luna’ è nascosta nel cuore della selva. D’un tratto gli alberi si interrompono e il verde della foresta lascia il posto a un giallo sbiadito, quasi rossiccio lungo i bordi dei crateri che feriscono la terra. Eppure – giurano gli abitanti – alle prime luci dell’alba ’la luna’, come la chiamano, diventa una distesa luccicante. Quasi quanto l’oro di cui è ricca. Vent’anni fa, la regione di Madre de Diós, in Perù, era un fazzoletto di Amazzonia lussureggiante. Ora è un deserto fangoso di 180 chilometri quadrati, interrotto da fenditure profonde. La ’luna’ appunto. Ogni giorno 40 mila persone – ma secondo gli attivisti per i diritti umani sarebbero 100 mila – sventrano questa terra, nonostante il divieto, per estrarre illegalmente l’oro. Che qui abbonda: se ne ricavano, in base ai dati del Comitato ambientale della Società nazionale di miniere, 16 mila chili l’anno: un business da 6 miliardi di dollari. Stime informali raddoppiano la quantità, tanto da affermare che da Madre de Diós provenga un quinto della produzione aurifera peruviana. Coi prezzi del metallo prezioso alle stelle – si è quintuplicato dal 2006 – è facile capire perché nonostante le retate del governo di Lima – a febbraio sono state chiuse 13 cave abusive – quasi ogni giorno spuntino nuove miniere illegali. Un problema non solo peruviano. La febbre dell’oro divora – nel significato letterale del termine – immensi territori dell’America Latina. Dal Guatemala all’Argentina passando per Perù, Colombia, Ecuador, ovunque ci siano giacimenti, prospera il business dell’estrazione. Legale o illegale.
Il continente sudamericano è il nuovo ’eldorado’. Da qui proviene il 21 per cento della produzione aurifera mondiale. E, l’anno scorso, qui si sono concentrati gli interessi delle ’grandi cacciatrici d’oro’: le multinazionali minerarie hanno dirottato a sud del Rio Bravo – secondo il Centros Estudios del Cobre e de la Mineria (Cesco) – oltre un quarto degli investimenti totali. Un record assoluto: l’America Latina è diventata la principale destinazione delle imprese: vi hanno speso 5,4 miliardi per finanziare esplorazione ed estrazione. Nel mirino soprattutto Messico, Cile, Perù – dove si è raggiunto il primato di 7 mila richieste di concessioni – Brasile e Argentina. Di recente, però, anche la Colombia – dato il calo della violenza – ha cominciato ad attrarre consistenti capitali. Tanto che il presidente Juan Manuel Santos sta puntando sulla ’locomotiva mineraria’ per far crescere il Paese.
Il più luccicante dei metalli ha conquistato la maggior parte dei governi della regione. Indipendentemente dal colore politico. Le multinazionali hanno fatto ottimi affari con il conservatore Calderón (Messico) come con i progressisti Lula (Brasile) e Kirchner (Argentina). O con il socialista-populista Correa (Ecuador). Solo il Costa Rica, con una storica sentenza, lo scorso novembre ha messo un freno allo sfruttamento minerario, revocando la concessione al colosso canadese Infinito Gold. Un’eccezione nel panorama latinoamericano, dove le miniere d’oro si moltiplicano. Nonostante gli allarmi di ecologisti e attivisti per i diritti umani. Il metodo più utilizzato per estrarre il metallo è, infatti, la cava a cielo aperto: dato che i giacimenti si trovano a profondità ridotta, invece di scavare tunnel e gallerie si realizza una sorta di cratere, facendo affiorare l’oro in superficie. Il metallo viene poi separato dalla roccia con una tecnica particolare: un bagno di acqua e cianuro, chiamato lisciviazione. È proprio l’uso del veleno la nota più dolente. Il cianuro, altamente tossico, contamina il suolo e penetra nelle falde acquifere. Non a caso, meno di un anno fa il Parlamento europeo ha deciso di proibirlo. La lisciviazione, inoltre, implica un enorme dispendio d’acqua, merce rara nel Sud del Mondo. Dai calcoli fatti sulla miniera Marlin in Guatemala, risulta che questa impieghi 250 mila litri all’ora. Ecco perché, man mano che la febbre dell’oro infiamma il continente, divampano anche i cosiddetti ’conflitti minerari’: vere e proprie guerre – con tanto di scontri, scioperi a oltranza, blocchi – delle comunità locali per fermare l’estrazione. L’Osservatorio dei conflitti ambientali latinoamericani ne ha registrati ben 120 l’anno scorso, concentrati in 15 Paesi. Primo fra tutti il Brasile.
Di pari passo all’estrazione legale, è cresciuta negli ultimi tempi anche quella illegale. In questo caso, a gestire il business sono faccendieri senza scrupoli in combutta con qualche funzionario locale. Sono loro a concedere terre protette per lo sfruttamento minerario, in cambio di una percentuale sui proventi. Un affare sicuro: si tratta di aree remote, lontane dai controlli statali. La empresa (la miniera illegale) viene affidata a un capataz (caporale) che recluta gli operai, in genere disperati, accecati dal miraggio dell’oro. Un bracciante lavora 12-14 ore ma riesce a mettere da parte per sé, in media, un grammo d’oro al giorno, per un valore di 40 dollari. Quasi 14 volte il salario medio. A questo, si aggiunge la speranza di entrare nella ’cooperativa’: con una quota di 50 grammi d’oro si diventa soci. A meno di non morire prima. I lavoratori vivono in mezzo alla giungla, ammassati in capanne di fortuna, senza acqua né luce né servizi igienici. La sicurezza sul lavoro – già scarsa nelle miniere legali dell’America Latina – è inesistente. Per tenerli buoni, i ’capi locali’ procurano ai dipendenti divertimento a buon mercato: i ’bar’ sono ovunque. Si tratta di postriboli dove migliaia di ragazzine, in maggioranza adolescenti, sono costrette a prostituirsi. Una tratta in piena regola: le giovani sono ingaggiate con l’inganno di un impiego. Ne arrivano, secondo le Ong, 1.200 nuove ogni autunno: le più piccole hanno appena 12 anni, ma non durano a lungo. Malattie e infezioni sono la regola.
Per separare l’oro dalle rocce, inoltre, si usa il mercurio e in grande quantità: due chili per ogni chilo di oro ricavato. Mercurio che, poi, viene riversato nei fiumi. Gli stessi che dissetano i villaggi circostanti. Gli effetti sull’ambiente e sulla salute umana sono devastanti: si va dalla debolezza cronica alla cecità alla morte. I cadaveri, nessuno sa quanti, vengono seppelliti nel fango, senza nomi o croci a identificarli. E giacciono per sempre là, nelle viscere delle mille ’lune’ dell’America Latina, insieme all’oro.