Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  luglio 07 Giovedì calendario

Sarà il carbone a salvare la bolletta - I prezzi di luce e gas restano più alti in Italia rispetto all’Unione europea sia per le im­prese sia per le famiglie anche se, per queste ultime, il divario si sta riducendo

Sarà il carbone a salvare la bolletta - I prezzi di luce e gas restano più alti in Italia rispetto all’Unione europea sia per le im­prese sia per le famiglie anche se, per queste ultime, il divario si sta riducendo. È quanto emerge dalla relazione dell’Autorità del­l’Energia al Parlamento, la prima targata Guido Bortoni dopo l’insediamento alla gui­da dell’Authority. A essere penalizzate sono le famiglie con consumi più alti mentre per quelle con consumi bassi il prezzo è inferio­re del 12% rispetto alla media Ue. Ma l’al­larme è soprattutto sulle imprese, costrette nel secondo semestre del 2010 a sostenere prezzi medi superiori del 26% al lordo delle imposte, rispetto alla media Ue: il dato si ri­ferisce alla classe di consumo 500-2mila MWh/anno, una delle più rappresentative per il Paese. L’Authority pone poi l’accento sugli effetti della crisi libica che non minac­cia la sicurezza delle forniture di petrolio, anche se permane un elevato rischio-prezzi. *** L’Autorità dell’energia ci in­forma che la bolletta elettrica ita­liana è la più elevata d’Europa, ma non è una novità. È da lustri che il kWh elettrico italiano, sia per le famiglie che per le aziende, sia al netto che al lordo delle im­poste, è il più elevato al mondo. Il perché non è difficile compren­derlo. Innanzitutto, dobbiamo importare la materia prima - gas o carbone - per produrre l’elettri­cità. Poi, abbiamo deciso di pre­ferire quello e snobbare questo, ma il gas è ben più costoso del carbone. Tanto per un confron­to: la produzione di elettricità è da gas per il 20% in Usa e in Gran Bretagna, per il 10% in Germa­nia, per il 5% in Francia, mentre lo è per il 50% in Italia. Terzo, ab­biamo bisogno di più elettricità di quella che riusciamo a pro­durre: un buon 15% del nostro fabbisogno lo importiamo come tale. Più precisamente, siamo il Paese con la più alta quota al mondo, in assoluto, di energia elettrica di importazione. Ce la fornisce la Francia, il Paese con la maggiore quota al mondo di esportazioni d’elettricità, che la produce per l’80% da nucleare. Con il referendum del 1987 non dicemmo no al nucleare, ma ne facemmo un (ennesimo) bene d’importazione, per il quale ab­biamo speso per 20 anni, ogni anno, quanto avremmo speso a installare un reattore nucleare in casa ogni anno: abbiamo pagato noi la costruzione dei reattori nucleari francesi. Questa colos­sale quantità di denaro a benefi­cio dello straniero è naturalmen­te sottratta ai nostri servizi e al nostro benessere: per dire, la qualità dei nostri ospedali o delle nostre scuole, inclusi gli stipendi degli insegnanti, è inferiore a quella dei Paesi vicini, perché il nostro denaro serve per approv­vigionarci d’energia. La quale è lo strumento primario per creare posti di lavoro: senza energia non si produce, e se non si pro­duce non si lavora. E anche se l’energia fosse disponibile, se lo è a costi più elevati che in altri po­sti, l’imprenditore energivoro of­fre lavoro altrove. Questo governo aveva provato ad avviare un circolo virtuoso, di cui avrebbero beneficiato soprat­tutto i nostri figli, visto che i reat­tori nucleari non si fanno in una notte. Però, è stato debole: non ha saputo difendere il proprio stesso operato e i ministri alle At­tività produttive e all’Ambiente ­va detto, anche se altrimenti ap­prezzabile il primo e una signora la seconda - hanno brillato per la loro assenza durante la campa­gna referendaria e non sono stati all’altezza dei loro ruoli. Se il go­verno - qualunque governo ­pensasse che l’esito referendario abbia eliminato una grana (il processo, tutto in salita, del riav­vio del nucleare), si illuderebbe di grosso: il referendum ha fatto rovinosamente riprecipitare al punto di partenza il problema energetico, e la salita rimane tut­ta. Cosa fare, allora, nel breve termine? Con coraggio anticipa­re quanto prima la fine della sbronza delle tecnologie fraudo­lente, la eolica e fotovoltaica, ap­pannaggio di piccoli, medi e grandi speculatori; e con altret­tanto coraggio potenziare l’uso del carbone. Quanto al nucleare, dimenticarlo. Salvo insegnarlo nelle scuole sin dalle elementari, affinché tra cinque o dieci anni, quando i nostri ragazzi saranno obbligati a riprenderlo in consi­derazione, non accada più che l’agenda di politica energetica sia dettata, in Italia, da comici, cantanti e saltimbanchi.