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 2011  luglio 07 Giovedì calendario

La Grande guerra ci costa 2 milioni - «Il Piave mormorò: non passa lo straniero!». Con questa strofa i nostri antenati hanno celebrato la vittoria italiana nella Prima guerra mondiale

La Grande guerra ci costa 2 milioni - «Il Piave mormorò: non passa lo straniero!». Con questa strofa i nostri antenati hanno celebrato la vittoria italiana nella Prima guerra mondiale. Ma la memoria storica è stata giustamente accompagnata da un riconoscimento economico per tutti coloro che si impegnaro­no nelle trincee resistendo agli at­tacchi delle fante­rie austriache e te­desche. Con una legge del 1968 la Re­pu­bblica ha ricono­sciuto un assegno vitalizio e la meda­glia dell’Ordine di Vittorio Veneto ai reduci e anche alle «portatrici della Carnia», eroiche volontarie che si ca­ricavano sulle spal­le gerle di 30-40 chi­li con i rifornimen­ti­perirepartiavan­zati. Tutto questo dovrebbe apparte­nere ai libri di storia e alle comme­morazioni civili. E invece no. Nel bi­lancio del ministero dell’Econo­mia c’è ancora una specifica voce per gli assegni vitalizi ai militi del ’15-’18 e delle guerre precedenti ol­treché per le portatrici. Quanto va­le questo capitolo? Circa 1,8 milio­nidi euro (3,5 miliardi delle vec­chie lire). È uno stanziamento di modesta entità ed è confermato per lo stesso importo fino al 2013 per un totale di 5,4 milioni. La loro spesa effettiva è un’ipotesi molto molto remota, tuttavia sono stan­ziamenti per cassa e dunque sono impegnati. La legge istitutiva del­l’onorificenza ( la 263 del 1968) è in vigore e non prevede che questi trattamenti siano reversibili.L’ulti­ma portatrice, Lina Della Pietra, è morta nel 2005 all’età di 104 anni. Forse nel corso dell’anno,con l’as­sestamento del bilancio, la somma si ridurrà come accaduto nel 2010 (da 1,3 milioni a 91mila euro), mala voce di spesa si riproporrà co­munque. Certo, è solo una goccia nel mare del complesso degli stanziamenti del Tesoro riguardanti il capitolo previdenziale. Sempre per restare in tema va ricorda­to che per le­pensio­ni di guerra e meda­glieal valor milita­r­e erogate a vario ti­tolo sono apposta­ti 848,9 milioni di euro. Niente da di­re, per carità, ma il sistema appare co­stoso o, per lo me­no, antiquato. Le commissioni me­dich­e per il ricono­scimento e la verifi­cacomportano una spesa prevista in 17,5 milioni di euro, mentre altri 500mila euro se ne vanno per le spese di notifica. Si tratta di dettagli, sebbene evo­cativi di un’organizzazione statale basata ancora su modelli ottocen­teschi piuttosto che sulla contem­poraneità. D’altronde,l’Italia è sta­ta pensata, voluta e disegnata co­me uno «stato sociale» che accom­pagna tutti dalla culla fino alla baraed è sempre presente anche per­ché- e i vitalizi di guerra ne sono un esempio- può chiedere, in cambio dell’assistenza, la vita stessa dei propri cittadini per motivi di dife­sa. In virtù di questo scambio socia­le è direttamente lo Stato a rispon­d­ere per il rischio di guerra e a even­tuali danni. È il caso dei 5,1 milioni che il Tesoro destina all’Inail e alle soppresse casse mutue marittime (Adriatica, Tirrenica e Meridiona­le­confluite da quindici anni nell’Ip­sema)per questo tipo di assicura­zione. Ed è proprio in virtù di questo principio fondativo che bisogna«ingoiare» o quantomeno accetta­re i 18,856 miliardi assegnati al­l’Inpdap, l’ente previdenziale dei dipendenti pubblici che rappre­sentano le mille articolazioni dello Stato. Di questo ammontare 10,4 miliardi costituiscono il «contribu­to aggiuntivo » e 8,456 miliardi le an­ticipazioni sul fabbisogno, ossia le cifre che la Tesoreria «presta» alle gestioni previdenziali per garantir­ne i pagamenti anche perché i 59 miliardi di sole entrate contributi­ve non sono sufficienti per far fron­te ai circa 70 miliardi di uscite cor­renti. Basterebbe questo conto per giustificare i«giri di vite»-veri e pre­sunti- sui trattamenti previdenzia­li dei dipendenti pubblici che Tre­monti e Sacconi stanno studiando con la prossima manovra. Ultimo ma non meno importan­t­e è il capitolo relativo alle Gestione assistenziale (Gias)dell’Inps a cari­co del Tesoro. La parte principale è nel bilancio del ministero del Lavo­ro, ma anche Via XX Settembre con­tribuisce al ripiano degli squilibri di alcuni fondi pensione. In partico­lare, il capitolo di spesa più consi­stente è il contributo per il ripiano del disavanzo del Fondo pensioni delle Ferrovie dello Stato, stimato per l’anno in corso a 3,9 miliardi di euro. Senza questo «aiutino» gli 813 milioni di contributi non baste­re­bbero per erogare circa 4,8 miliar­di di pensioni. Lo stesso discorso vale, seppur in misura più limitata, per i circa 60 milioni destinati agli squilibri della previdenza degli enti portuali di Genova e Trieste. Di natura più assi­s­tenziale il capitolo relativo ai 3 mi­lioni di euro per il pensionamento anticipato dei lavoratori portuali in esubero. È il portato di un decre­to legge del 1997 che concesse alle Autorità portuali di Genova, Trie­ste, Napoli e Venezia il pensiona­mento anticipato di 500 dipenden­ti con relativo «scivolo». Nel 2011 l’onere è ovviamente a bilancio. Bisogna tornare indietro con la memoria pure per comprendere due altri stanziamenti giustificati dal fatto che fino a una ventina di anni fa Poste e Telecomunicazioni erano enti interamente pubblici. Si spiegano così i 40 milioni di euro de­stinati all’Inp­s per la posizione assi­curativa del personale Iritel. Senzadimenticare un miliardo di euro a carico del Tesoro per il trattamen­to di quiescenza (la liquidazione) del personale di Poste Italiane. Adesso è il momento di sceglie­re: più si cercherà di difendere que­sto tipo di welfare- al di là delle pre­stazioni individuali che in alcuni casi sono esigue - più aumenterà questo tipo di spesa. E per sostener­la ci sono solo due modi: aumenta­re la pressione fiscale e contributi­va oppure vendere a prezzi di saldo il patrimonio per recuperare la li­quidità necessaria a soddisfare le spese correnti. In quel caso, lo stra­niero potrebbe varcare la linea del Piave.