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 2011  luglio 07 Giovedì calendario

Calciatori e attori di provincia? Paghiamo noi le loro pensioni - Le pensioni dei peones del cal­cio, quelli che calcano i campi di quella che una volta si chiamava Se­rie C, e quelle degli attori e dei musi­cisti che bazzicano teatri «off» di provincia? Le paghiamo anche noi

Calciatori e attori di provincia? Paghiamo noi le loro pensioni - Le pensioni dei peones del cal­cio, quelli che calcano i campi di quella che una volta si chiamava Se­rie C, e quelle degli attori e dei musi­cisti che bazzicano teatri «off» di provincia? Le paghiamo anche noi. Lo Stato con le sue entrate fi­n­anzia numerose prestazioni previ­denziali tra le quali anche una quo­ta parte dei trattamenti del­l’Enpals, l’ente previdenziale per lo spettacolo e lo sport. Lo rivela il bilancio di previsione del ministero del Lavoro che asse­gna all’Enpals 94,5 milioni. Dal bu­dget di questo istituto, invece, si può desumere che 304.710 euro an­dra­nno al Fondo sportivi professio­nisti, tra i quali i calciatori, e la re­stante parte dello stanziamento ai lavoratori dello spettacolo e alla va­rie forme di decontribuzione. Se l’Enpals grazie ai maxistipen­di di star come Nesta, Gattuso, del Piero e Pazzini può chiudere i pro­pri­bilanci in attivo bisogna doman­darsi che cosa sarebbe l’Inps senza i 90 miliardi di trasferimenti dello Stato? Un pozzo senza fondo per­ché so­no proprio quelle risorse a ga­rantire l’equilibrio economico del­l’istituto di previdenza. Nel precon­suntivo 2011 dell’ente guidato da Antonio Mastrapasqua la realtà è spiegata nel dettaglio. Per 62 miliar­di di euro si vanno a coprire oneri pensioni pensionistici, con 9,5 mi­l­iardi circa si coprono le forme di in­tegrazione salariale, mentre altri 3,5 miliardi sono destinati agli asse­gni familiari. Circa 16 miliardi, infi­ne, sono dedicati agli sgravi fiscali e contributivi. Il nome di questo «mo­tore » che garantisce dinamismo ai conti dell’Inps è Gias,un acronimo che indica la «Gestione degli inter­venti assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali». Nei bilanci dei ministeri si può os­servare specularmente il fenome­no? Sì. E, in un certo senso, anche meglio perché, sebbene diluite tra Economia e Lavoro, quelle risorse si ritrovano più o meno tutte e con l’indicazione della loro specifica destinazione. Un rendiconto che consente di distinguere due diver­se facce dello Stato. Da un lato l’or­ga­nismo che spende per aiutare co­loro che hanno veramente necessi­tà e per sostenere le imprese che creano lavoro.Dall’altro lato,un co­lossale ente benefico che utilizza l’assistenzialismo come forma di mantenimento della pace sociale. Inutile girarci attorno. Ci sono 27,5 miliardi di euro nel budget del Lavoro che sono vero e proprio assi­stenzialismo d’antan . In particola­re i 17,2 miliardi delle «quote di mensilità di pensione e di sostegno alle gestioni previdenziali». Un ob­bligo derivante dalla riforma del­l’Inps e­dell’Inail del 1989 che asse­gnò allo Stato il compito di finanzia­re quota parte del fondo pensioni la­voratori dipendenti, delle gestioni dei lavoratori autonomi, la gestio­ne speciale dei minatori. Colpa del­la Finanziaria del 1988, approvata in ritardo nel marzo dello stesso an­no causa debolezza endemica del «governicchio» Goria. Ai cittadini tocca riequilibrare e farsi carico pure degli oneri pensio­nistici di coltivatori diretti, mezza­dri e coloni anteriori al 1989: una vo­ce da 3 miliardi di euro che tappa i buchi di una particolare categoria soggetta a una discontinuità contri­butiva endemica causa lavoro ne­ro, stagionale e via discorrendo. Al­tri 1,6 miliardi vanno a coprire i pen­sionamenti anticipati, mentre con 4 ,5 miliardi si sostengono le pensio­ni di invalidità erogate prima della riforma del 1984. Infine 1,2 miliardi vanno alla rivalutazione delle pen­sioni d’annata, una sorta di «scala mobile» applicata ai trattamenti pensionistici degli anni ’70-’80 e precedenti che hanno sofferto l’erosione dovuta agli elevati tassi di inflazione di quel periodo. A que­sto complesso devono poi essere aggiunti gli 1,2 miliardi di finanzia­mento statale al Fondo ex-Inpdai dell’Inps, la gestione dell’ente per i dirigenti d’azienda soppresso nel 2003. Altri 874 milioni sono costitui­ti da anticipi per il fabbisogno Inps. Questa«macchina»si muove gra­tis? No. Il ministero copre anche le spese di funzionamento del Gias che nel 2011 sono stimate in circa 395 milioni. E così brucia una parte degli 1,8 miliardi di contributi che vengono dal finanziamento priva­to della cassa integrazione e della mobilità. Altri 16,7 miliardi vanno alle pensioni di invalidità civile spe­rando che la riforma Brunetta con l’intensificazione dei controlli eviti forme di spreco come quelle che si sono verificate in alcune aree del Mezzogiorno. Discorso diverso, invece, per gli oltre 12,7 miliardi di sgravi contri­butivi. Non sono uno sperpero per­c­hé compensano l’Inps dei manca­ti introiti legati agli incentivi. Forse varrebbe la pena ragionare sulla possibilità di passare dal regime di decontribuzione all’abbassamen­to della pressione fiscale. La palla passa a Tremonti e Sacconi. Chissà se faranno gol.