Lucio Caracciolo, la Repubblica 7/7/2011, 7 luglio 2011
LA PRIMAVERA FINITA
Nelle Arabie le primavere sono brevi. Sarà per questo che siamo repentinamente slittati dalla lirica rivoluzionaria alla stagione di depressione economica, emergenza sociale e insicurezza geopolitica che investe lo spazio affacciato sul nostro mare. Rimossi i tiranni tunisino ed egiziano, le aspirazioni alla libertà e alla democrazia sono frustrate dalla reazione dei poteri tradizionali, militari in testa. Quanto alla Libia, non esiste più: il fantasma della Grande Somalia rischia di materializzarsi. Dalla Siria allo Yemen via Bahrein, siamo alla guerra civile. Se le sabbie mobili inghiottissero la monarchia saudita, sancta sanctorum del pluriverso islamico e serbatoio energetico mondiale, sarebbe inverno gelido per tutti.
Il rosario di rivoluzioni e controrivoluzioni in corso lungo la sponda Sud del Mediterraneo si profila come espansione dell´area di instabilità afro-asiatica prodotta dall´esaurirsi della guerra fredda. Anche perché la superpotenza residua sta concentrando le sue risorse in Asia orientale e nel Golfo, a scapito di Europa, Nordafrica e Mediterraneo. La ritirata strategica di Obama carica le squattrinate subpotenze europee di responsabilità che non sono in grado di sostenere. Sicché la bolla dell´instabilità si gonfia a impressionante velocità, fino a premere su tre fronti di affermata solidità: Germania, Russia e Cina. Le uniche potenze oggi in grado di condizionare l´America.
Il 22 giugno Barack Obama ha pronunciato il più importante discorso della sua presidenza. Poca retorica e un fermo proposito: "America, è tempo di concentrarsi sul nation building qui a casa". Ergo: ritiro dall´Afghanistan di qui al 2014 e dall´Iraq entro l´anno. Una piattaforma elettorale, certo. Ma anche la presa d´atto che un paese indebitato fino al collo non può sperperare mille miliardi di dollari in dieci anni di "guerra al terrore" per ridursi a fumare il calumet della pace con il mullah Omar. Quanto alla Libia, Obama mira ad "aggregare l´azione internazionale" senza schierare "un solo soldato". Tradotto: la Nato deve coprire la ritirata americana, sopportandone in parte costi e rischi. Ma senza metter bocca nelle scelte di Washington. In questo sta il limite della svolta di Obama; non ci si può ritirare dal globo e sperare di dominarlo.
La guerra di Libia marca lo spartiacque fra rivoluzioni e controrivoluzioni arabe. Alcuni autocrati sono stati liquidati, ma i meccanismi di potere che li avevano espressi mostrano capacità adattive (Tunisia, Egitto) e/o reattive (Libia, Yemen) tali da mitigare la spinta al cambiamento. Quasi tutti i leader, nel Nord del mondo, tifano in segreto per i controrivoluzionari arabi, al cui vertice stanno i reali sauditi. Ma ricomprimere il genio delle rivoluzioni nella lampada di Aladino non è possibile. Nei territori investiti dal vento d´intifada si è aperta una finestra di opportunità, ma gli esiti delle rivolte non sono scritti. Su scala globale, la partita decisiva si giocherà fra Vicino Oriente, Golfo e Afpak. In questione non solo il carattere dei regimi, ma i nuovi rapporti di forza fra i protagonisti regionali: Arabia Saudita, Pakistan Israele, Iran e Turchia. Siamo solo all´inizio.