VERA SCHIAVAZZI , la Repubblica 5/7/2011, 5 luglio 2011
CAFFÈ, SIGARETTA, PERSINO L´EMAIL COSÌ LA PAUSA DIVENTA UN PRIVILEGIO
«Vuoi uscire a fumare una sigaretta? Benissimo, ma timbra il cartellino…». La nuova norma introdotta al Comune di Firenze ha scatenato le proteste di dipendenti e sindacati, ma il sindaco Matteo Renzi è rimasto sulle sue posizioni: "Cambiarla? Non ci penso proprio". Si riaccende così la polemica sulle pause, quella per la sigaretta come quella per il caffè, ma anche la mensa, l´orario elastico in entrata e in uscita, la possibilità di parlare al telefono o scambiare sms e mail personali durante l´orario, e così via. Una legge del 2003 parla chiaro: se non esistono accordi contrattuali diversi, ogni lavoratore ha diritto ad almeno dieci minuti di stop ogni sei ore di lavoro, e a undici ore di riposo consecutive tra un turno e l´altro. Ma chi tiene il conto dei momenti passati "fuori stanza" dai dipendenti pubblici? Di quelli impegnati a parlare con i colleghi, o, appunto, a fumare sul balconcino in corridoio? Qualcuno ci ha provato, come la bolognese Ducati Energia, 300 dipendenti, che ha imposto un timer alla macchinetta dell´espresso: dieci minuti di funzionamento consecutivo, e niente più caffè. Severe missive sono partite anche da un certo numero di sindaci e segretari generali di importanti Comuni, come quello di Como: «Si tratta di una netta violazione dei doveri d´ufficio». Ed è arrivata anche qualche sentenza, come quella della Corte dei Conti dell´Umbria, che ha inflitto 500 euro di multa a un´impiegata del Comune di Gubbio colpevole di essersi mostrata più volte nel bar di fronte al palazzo civico risultando, nello stesso tempo, presente in ufficio. Ma il problema resta: se nessuno conta le pause dei manager, che secondo una recente ricerca lavorano fino a 12 ore al giorno ma staccano quando vogliono loro, chi può arrogarsi il diritto di stabilire qual è il tempo "fisiologico" per mangiare, andare in bagno, fumare o far ricorso alla caffeina per respingere la stanchezza? «È un falso problema – assicura Antonio Crispi, segretario nazionale della Funzione Pubblica per la Cgil – Non è certo la dipendenza dalla caffeina o dalla nicotina ad affliggere le nostre amministrazioni pubbliche, mi sembra piuttosto una moda deteriore quella di contare i minuti ai dipendenti». Forse, ma intanto sulle pause si litiga e ci si dilania, come è accaduto di recente alla Fiat Mirafiori: due le pause di dieci minuti per turno, mentre la mezz´ora per la mensa è stata fin qui salvaguardata, ma rischia di slittare al momento dell´uscita, con la conseguente scomparsa dei ristoranti aziendali. Nei reparti di medicina d´urgenza degli ospedali, il dipendente ha diritto a interrompersi per mangiare, ma deve consumare il pranzo nei locali dove lavora, e interrompersi in caso di necessità: la pausa, così, gli viene comunque pagata al 50 per cento. Il divieto definitivo di fumare sul luogo di lavoro, ribadito da una circolare del 2004, non ha migliorato la situazione: si calcola che le assenze "temporanee" da computer e scrivanie siano aumentate dell´8 per cento. "È un tema cruciale per l´organizzazione del lavoro – dice Paolo Citterio, presidente di Gidp, l´associazione che raggruppa i direttori del personale delle grandi aziende italiane – Molti manager ritengono che lo "stacco" aiuti la concentrazione, ma questo vale per chi svolge un lavoro a alto contenuto intellettuale e creativo. Quanto al modello della "tea lady" diffuso nel mondo anglosassone, la maggior parte delle realtà produttive italiane non lo ritiene applicabile: da noi la pausa serve anche per scambiare due chiacchiere con i colleghi, non basta una tazza di the». Per gli italiani, insomma, il carrello fumante (reso immortale dal fumetto di Bristow, impiegato assicurativo inglese) è inutile, occorre sgranchire le gambe e, possibilmente, uscire dalla stanza o dal palazzo: «Il lavoratore – dice il 42 per cento dei direttori – ha diritto a fare due passi, soprattutto se il suo lavoro è sedentario».