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 2011  luglio 03 Domenica calendario

VIVA LA CLASSICA IL “TCHAIKOVSKY“ CELEBRA 14 ANNI

MOSCA. Gli occhi che guardano ad Oriente, la fronte spaziosa incorniciata da una pettinatura ordinatamente composta all’indietro, il viso magro arrotondato dalla barba folta e ben tagliata, un tratto spigoloso del profilo ammorbidito nel garbo di modi che gli fu consueto. È il ritratto di Piotr Ilic Tchaikovsky, che osserva dall’alto il passare del tempo in questi giorni moscoviti. Come un nume tutelare, dall’olimpo di cartelloni che onorano la sua memoria, Tchaikovsky sembra ringraziare i fratelli russi che dal 1958, ogni quattro anni, ne celebrano la gloria, secondo un rituale nazionale che a Mosca e San Pietroburgo appassiona tutta la popolazione. Con la ferma impassibilità che è propria solo agli estinti dipinti, quel volto è divenuto icona di una liturgia musicale che non trova eguali: nelle due principali città della Russia si svolgono per oltre due settimane le finali della più vasta gara musicale del mondo, coinvolgendo simultaneamente le quattro discipline regine dei suoni: il pianoforte, il violino, il violoncello, il canto. Il pubblico russo è vario e informale, fa pronostici, dibatte per strada e in televisione sui perché di un’esclusione o di un immeritato passaggio di turno, e applaude in nome di un sentimento collettivo che abbraccia intenditori e neofiti. Sono loro, le persone che amano il “Tchaikovsky”, il termometro del successo che qui riscuote la musica classica. Aldilà dei lustrini delle serate a invito, moscoviti e pietroburghesi amano la grande musica in jeans e maglietta, con la naturalezza che contraddistingue un atteggiamento disinibito nei confronti dell’arte, forgiato dall’abitudine quotidiana con il teatro, le sale da concerto, i musei. Così non è difficile ipotizzare che l’eco di una manifestazione di tale ampiezza, inaugurata il 14 giugno a Mosca e conclusa ieri a San Pietroburgo da due sontuosi concerti di gala, tarderà a sopirsi: con questa edizione, la sua quattordicesima, il “Tchaikovsky” ha superato se stesso. Un progetto di rinnovamento nel segno di lusso e grandeur, messo in atto dal Direttore Generale del Concorso, Richard Rodzinski, e plasmato dal magnetico carisma del Presidente, Valery Gergiev, il celebre direttore d’orchestra che ha trasformato la formula alchemica di questa gara in un cocktail perfetto tra mondanità e arte; un «omaggio grande quanto grande è la Terra della musica», come ha dichiarato a chiusura di kermesse. E così nella serata delle premiazioni alla “Tchaikovsky Concert Hall”, introdotta con solenne cerimoniale dal Ministro della Cultura Alexander Avdeyev, si sono ritrovate gomito a gomito le quattro giurie stellari che hanno incoronato i neo-vincitori, dandosi poi appuntamento nel vicino ristorante intitolato, pure, al divino Piotr Ilic. Come in una “hall of fame” di miti viventi, si scambiano saluti Yuri Bashmet e Leonidas Kavakos, Krzysztof Penderecki e John Corigliano, Anne-Sophie Mutter con Antonio Meneses, Van Cliburn e Yefim Bronfman, Maxim Vengerov e Lynn Harrell, solo per citare una piccola porzione degli artisti colossali che, rispondendo alla chiamata di Gergiev, hanno partecipato alle giurie di questi giorni. Uno stuolo di discografici, impresari e giornalisti passeggia tra i tavoli, tra un sorso di vodka e un boccone di caviale, ove brillano le medaglie d’oro al collo di coloro che hanno trionfato su 120 eccezionali talenti della musica: il pianista russo Daniil Trifonov, il violoncellista armeno Narek Haknazaryan, il soprano Sun Young Seo e il basso Jongmin Park per la Corea, mentre a un secondo premio ex-aequo si sono dovuti fermare i violinisti Sergei Dogadin, russo, e il venticinquenne israeliano Itamar Zorman. A guardare l’albo dei vincitori 2011, trionfare in Russia sembra quasi impossibile per i musicisti dell’Ovest. Espugnare il trono intitolato al compositore simbolo di una nazione, primo musicista dell’Est capace di figurare al fianco dei maggiori Maestri d’Occidente, significa ricevere corona e scettro dell’impero d’Oriente, che per un performer europeo o americano si traduce nell’immediata popolarità in questo enorme spicchio di mondo. Un’impresa ancor più rara per gli italiani: l’unico che vi riuscì è stato il veneto Mario Brunello, che nel 1986 trionfò nella categoria dedicata al violoncello.

«Molte cose sono cambiate da allora, da quando il “Tchaikovsky” era un prodotto dell’Unione Sovietica», ricorda lo stesso Brunello, tornato quest’anno in gara dall’altra parte del campo, quale membro di giuria per il suo strumento. Oggi il “Tchaikovsky” è un evento tecnologico, seguito dal mondo intero attraverso una proposta streaming all’avanguardia, in grado di trasmettere contemporaneamente tutte e quattro le gare, con un dispiego di telecamere degno di uno show televisivo in prime time. Come accade in alcune altre grandi manifestazioni musicali internazionali, prime tra tutte i celebri concorsi pianistici “Chopin” di Varsavia e “Van Cliburn” di Forth Worth, i candidati vivono sotto la luce dei riflettori dalla mattina alla sera, godendo di una condizione di visibilità ostinatamente negata alla musica classica. Un triste primato di cui l’Italia è campionessa, mentre intanto la BBC lancia prodigi grazie al talent show Classical Star, dimostrando che sì, la classica può stupire anche in televisione. L’Italia del “Tchaikovsky 2011” reca il nome di Enrico Dindo, che insieme a Brunello ha preso parte alla giuria del violoncello, e quello di Renata Scotto, festeggiata con lunghi applausi per la sua partecipazione alla giuria del canto. Ma le sorprese tricolori sono giunte in gara: dei tre concorrenti italiani ammessi ai turni di finale, tutti partecipanti alla gara di violoncello, il bresciano Paolo Bonomini e la fiorentina Tilly Cernitori si sono fermati al primo turno, mentre il trentenne torinese Umberto Clerici ha raggiunto il terzo e ultimo round, segnando un risultato storico, che conferma l’eccellente stato di forma della scuola violoncellistica italiana, e torinese in particolare. Oltre al trionfo di Brunello nell’86, il suo quinto premio si aggiunge agli altri due risultati realizzati dall’Italia: il terzo posto del 1994 riscosso dal violinista Marco Rizzi, e l’ottavo del pianista, francese in verità ma di origini italiane, Bruno Rigutto, quando nel 1966 trionfò l’immenso Grigory Sokolov. L’ultima cartolina da Mosca racconta la storia quasi italiana di Alexander “Sasha” Romanovsky, il ventiseienne pianista ucraino giunto a 13 anni per studiare all’Accademia di Imola, e che dieci anni fa guadagnò un’improvvisa popolarità nel nostro Paese affermandosi al Concorso “Busoni” di Bolzano. Quella vittoria rinforzò il suo legame con l’Italia, a tal punto da non lasciare più Imola. «Da voi – racconta - ho trovato una nuova famiglia». Come nel caso del parroco Don Guido, 84 anni, che insieme a Nicolas, rockettaro per ventitré ore al giorno, «tranne quando ascolto il pianoforte di Sasha!», è venuto a Mosca per applaudire la sua nobile interpretazione del Terzo Concerto di Rachmaninov. Si è fermato al quarto posto Romanovsky, e nel suo silenzio si legge un’elegante delusione. La festa del “Tchaikovsky” è finita. Che la musica ricominci.

Ciaikovski
Chaikovskij
Chaikovski