Vittorio Carlini, Il Sole 24 Ore 3/7/2011, 3 luglio 2011
QUEL «CINGUETTIO» CHE ANTICIPA WALL STREET - «È
ok!»@John_Smith; «Sì proprio una bella giornata»@ William_Doe. Di simili micro-messaggi, su Twitter, se ne trovano un’infinità. Milioni di utenti che "cinguettano" tra loro ogni giorno, creando una sorta di «Io» collettivo. Un sentiment globale entrato nel mirino dei money manager di Wall Street, e non solo. Ma non per le attese sulla futura Ipo della società dei micro-blog. Tuttaltro! L’obbiettivo è sfruttare questo "umore" globale e anticipare l’andamento della Borsa. Fantafinanza? Qualche anno fa. Adesso, grazie a sempre più sofisticati software, una realtà che prende piede.
La prova arriva da uno studio di alcuni scienziati dell’università dell’Indiana. Gli esperti americani, analizzando il periodo tra il 28 febbraio e il 19 dicembre 2008, hanno dapprima individuato quelli in cui l’autore esprimeva il proprio stato d’animo: 9,8 milioni di micro-testi lanciati da circa 2,8 milioni d’utenti.
In seguito, sfruttando complessi algoritmi e sofisticate analisi statistiche, hanno messo a confronto il "mood" espresso in Twitter e la performance del Dow Jones. Ebbene, dall’analisi è saltato fuori un dato inaspettato: l’indice industriale di Wall Street, con un ritardo medio di 3 giorni, reagiva al maggiore, o minore, stato di "calma" di chi twitta in Internet. Se in una giornata prevale globalmente la tranquillità, allora il Dow Jones chiude all’insù. Al contrario, a fronte di un mood più nervoso, l’indice archivia la seduta in calo. Una correlazione, inutile negarlo, sorprendente. Tanto che Joah Bollen, tra i co-autori della ricerca, azzarda: «Sono i primi passi di una nuova corsa all’oro».
Può obiettarsi: i mercati sono complessi e basare le proprie strategie di investimento sul "termometro" sociale di Twitter è un azzardo. Inoltre nuove variabili che incidono sull’equity, soprattutto in questo periodo di crisi, sono sempre dietro l’angolo. E, tuttavia, il grado di affidabilità della previsione è molto alto: l’87,6 per cento. E, poi, il periodo considerato non può certo dirsi "tranquillo".
Anzi, a ben vedere, proprio l’instabilità dei mercati, conseguenza della crisi dei debiti sovrani e della lenta ripresa, dà più peso agli indicatori cosiddetti di fiducia. Hsbc, in suo report, ha rilevato come in simili periodi la correlazione tra gli asset aumenta, con la conseguente polarizzazione degli investimenti. Gli operatori tendono a semplificare le loro mosse: «Se stimano che le prospettive future», nel medio periodo, «sono buone assumono il rischio e investono». Diversamente, disinvestono. Una strategia che, gioforza, sfrutta gli indicatori "emozionali" di sentiment sul mercato.
Così non è un caso che, al di là di Twitter, il mondo di Wall Street tenti di utilizzare le informazioni presenti nei social network. Soprattutto, per raffinare il trading gestito da algoritmi. Secondo Aite group, la percentuale di istituzionali che sfrutta indicatori non strutturati (come la fiducia) nei propri sistemi è passata dal 2% nel 2008 all’attuale 35 per cento. La strada da fare, ovviamente, è molta: trasformare indicazioni qualitative, non numeriche, in dati per l’investimento è difficile. Ma a Londra, Derwent Capital Markets ha già il suo hedge che sfrutta proprio il "mood" di Twitter. La speranza? Che il cinguettio non si trasformi, poi, in un verso da cornacchia.