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 2011  luglio 03 Domenica calendario

IN PENSIONE LO SHUTTLE, NON IL GRANDE SOGNO

Da venerdì prossimo, per dodici giorni, potrete sintonizzarvi su Twitter con @Astro_Ferg per avere notizie dalla termosfera, a 320-380 chilometri dalla Terra. È Christopher Ferguson che parla, comandante dell’ultima missione dello Space Shuttle, epilogo di un’epopea spaziale durata trent’anni che, però, non sarà un epitaffio sull’eplorazione cosmica. «Quelli che dicono che quest’ultimo lancio rappresenta la fine dell’eplorazione spaziale americana – ha sentenziato due giorni fa Charles Bolden, l’amministratore della Nasa – credo vivano su un altro pianeta».

Viaggiando a una velocità di 28mila chilometri all’ora, i quattro astronauti dello shuttle Atlantis – l’equipaggio più ridotto della storia – avranno l’onore di vedere un’alba o un tramonto ogni 45 minuti e l’onere di consegnare alla Stazione spaziale internazionale (Iss) una delle più massicce spedizioni di materiale scientifico di tutti i tempi. Del resto, era l’ultima opportunità: la prossima volta, l’America dovrà chiedere un passaggio a qualcuno. O alla Soyuz russa, o alle compagnie private che dovrebbero inaugurare fra breve – forse già l’anno prossimo – l’era del turismo spaziale.

L’ha detto Barack Obama in persona, quando nel febbraio dell’anno scorso ha sentenziato la fine del Constellation Program voluto da George W. Bush, da lui stesso indirettamente azzoppato con le due grandi operazioni militari che tengono tutt’oggi sotto scacco il budget federale. Che la Soyuz imbarchi da oggi astronauti della Nasa (un biglietto costa 63 milioni di dollari) è un segno dei tempi: la Corsa allo spazio lanciata da John Kennedy, era figlia di una Guerra Fredda che non c’è più. Che invece ci sia un vasto numero di concorrenti, per il nascente mercato del cosmoturismo, è il segno inequivocabile che l’era dello spazio è solo cominciata.

A 200mila dollari a biglietto, la Virgin Galactic di Richard Branson ha già in tasca 410 prenotazioni per salire (con solo sei passeggeri alla volta) a 110 chilometri d’altezza, sperimentare l’assenza di gravità per qualche minuto e poi ridiscendere. Il viaggio inaugurale era fissato per quest’anno: è stato forse rimandato, ma non si sa a quando. In compenso, Branson ha già firmato una lettera d’intenti con la Nasa «per studiare future collaborazioni». Ma il bello è che Virgin non è da sola.

C’è la SpaceX di Elon Musk (diventato ricco come cofondatore di PayPal) che l’anno prossimo comincerà a fare consegne alla Iss per conto della Nasa e, se tutto andrà bene, farà anche da "shuttle" per gli astronauti. C’è la Space Adventures di Eric Anderson che ha già venduto sette viaggi a bordo della Soyuz con destinazione Iss ad altrettanti milionari, ma che ha annunciato di voler offrire – in ordine di tempo – viaggi atmosferici a gravità zero, crociere orbitali con passeggiata all’esterno e viaggi intorno alla Luna.

Così, con lo Shuttle che va in pensione, non finisce l’era dello spazio. Comincia solo il declino della superpotenza spaziale americana. «La leadership americana nello spazio – ha aggiunto Bolden – continuerà almeno per la prossima metà del secolo, perché abbiamo gettato le basi del successo». Il dominio scientifico e tecnologico è innegabile: nel corso di quest’anno, la Nasa lancerà il robot Curiosity verso il suolo di Marte, la sonda Juno nell’orbita Giove e la missione Grail (composta da due sonde orbitanti) intorno alla Luna. Eppure, per quanto ne dica Bolden, da qui a metà secolo le superpotenze spaziali non saranno più una sola.

Dopo la sigla della Nasa, è bene impararne un’altra: Cnsa, China National Space Administration. Dopo il segretissimo Progetto 714 voluto da Mao e da Zhou Enlai in risposta alla rivalità cosmica di Usa e Urss, i programmi odierni di Pechino sono (solo un po’) più trasparenti. Si sa del progetto di costruire una piccola stazione spaziale. Della volontà di calcare, entro il 2025, il primo piede non-americano sulla Luna. Le missioni verso Marte sono programmate fra il 2014 e il 2033, con l’idea di spedirci anche gli esseri umani dopo il 2040. Si sa già che l’India, non intende restare indietro.

In questo scenario indefinito, non si può escludere una futura competizione – e magari una disputa – sul primo obiettivo possibile: la Luna. Perché il Moon Treaty, firmato nel 1979 dalle Nazioni Unite, nel frattempo è stato ratificato solo da Australia, Belgio, Kazakhstan, Libano, Marocco, Filippine, Uruguay e pochi altri. E non si tratta di un fatto trascurabile, perchè il trattato proibisce «l’uso militare dei corpi celesti». Proprio il contrario di quel che avviene ai piani alti dell’orbita terrestre.

Anche se le «guerre stellari» immaginate da Ronald Reagan sono rimaste nella fantasia, la militarizzazione dello spazio è una realtà: i satelliti-spia girano di continuo sopra le teste di (quasi) sette miliardi di esseri umani; si dice che il budget spaziale del Pentagono sia superiore a quello della Nasa; e la Cina ha la capacità di puntare potenti laser nello spazio per accecare i satelliti. In questo scenario, una ratifica universale del Moon Treaty sarebbe davvero una bella idea.

Venerdì prossimo, sempre che ci siano le condizioni tecniche per il lancio, parte la missione STS-135, la 135esima e ultima dell’epopea Space Shuttle. Le sue conquiste scientifiche, tecnologiche e anche sociali – dopotutto ha reso i cittadini del mondo fieri dell’umanità e gli americani fieri della Nasa – restano scritte nella storia, che poi è la preistoria dell’esplorazione spaziale. Anche se due incidenti fatali (Challenger e Columbia) su 135 lanci non possono essere definiti un bel track record, lo Shuttle è servito a operazioni mirabolanti. Come la riparazione in orbita del telescopio spaziale Hubble, l’occhio (questo sì, a servizio dell’umanità) che scruta le profondità del cosmo.

Da venerdì, a raccontarci in tempo reale quel che accade a bordo, non ci sarà solo il comandante. Promettono di twittare via internet pure il suo vice Doug Harley (@Astro_Doug), la mission specialist Sandy Magnus (@Astro_Sandy) e Rex Walheim (@Astro_Rex). Anche questo, è un segno dei tempi.