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 2011  luglio 05 Martedì calendario

QUELLA TEGOLA DA 750 MILIONI

Sul capo della Fininvest pende una tegola da 750 milioni di euro. È l’epilogo del Lodo Mondadori, una battaglia legale che si trascina da ormai venti anni. Ma che ora spaventa l’impero del premier Silvio Berlusconi.

Il maxi-risaricimento che il Tribunale di Milano ha stabilito è in grado di impensierire anche la cassaforte della famiglia Berlusconi, che pure è un colosso finanziario da 2,5 miliardi di patrimonio. A giorni, si vocifera addirittura il prossimo fine settimana, è attesa la sentenza di appello del Lodo Mondadori. Nello scenario peggiore potrebbe confermare la sanzione. A quel punto, trattandosi del secondo grado, la sentenza diverrebbe esecutiva il che implica il pagamento della somma. Anche nel caso, che pare assai probabile, in cui la Fininvest faccia ricorso in Cassazione.

Lo stesso presidente del consiglio ha paventato la rovina del suo gruppo in caso di condanna; il figlio Piersilvio, che assieme alla sorella Marina e ai fratelli minori "acquisiti" Barbara, Eleonora e Luigi è azionista di Fininvest, ha parlato senza mezzi termini di «mazzata in arrivo». Che in casa del premier ci si prepari al peggio, lo si è intuito anche dalla decisione di Fininvest di non pagare nessun dividendo alla famiglia: non succedeva dal 2001 e nonostante la holding abbia motivato la decisione con la volontà di tenere fieno in cascina per cogliere eventuali opportunità, tutti l’hanno letta come una mossa difensiva e di cautela. Finora la Fininvest non ha mai accantonato un euro sul rischio Lodo: da sempre convinto di aver ragione e che la richiesta è infondata (e che di conseguenza nulla sia dovuto), il top management non ha ritenuto di dover spesare la voce in bilancio. Non lo ha fatto nemmeno nei conti del 2010, peraltro approvati pochi giorni fa dall’assemblea.

Per ricostruire la genesi di una complicata vicenda, bisogna tornare con la memoria al 1990-1991: allora Silvio Berlusconi, imprenditore edile che aveva creato dal nulla la televisione commerciale in Italia, si contendeva con Carlo De Benedetti il controllo della casa editrice Arnoldo Mondadori. Solo grazie alla mediazione di Giuseppe Ciarrapico, allora imprenditore vicino a Giulio Andreotti e oggi parlamentare del Pdl, si raggiunse un accordo per porre fine alla "guerra di Segrate". Ci fu una spartizione degli asset della Mondadori (Repubblica e l’Espresso alla Cir; Panorama, Epoca e i libri alla Fininvest).

Poi nel 1995 i magistrati avviano un’indagine penale sulla vicenda: dopo anni di processi nelle aule dei Tribunali, dal primo grado fino alla Cassazionee, nel 2007 arriva finalmente la sentenza definitiva: condanna per gli avvocati Cesare Previti, Giovanni Acampora e Attilio Pacifico. Corruppero il giudice Vittorio Metta per avere una sentenza più favorevole. Chiuso il versante penale, si è aperto il versante civile: nell’autunno del 2009, con una sentenza a sorpresa, il giudice ha condannato in primo grado la Fininvest a risarcire 750 milioni alla Cir di De Benedetti. Una cifra impressionante, calcolata sulla perdita di chance della Cir, moltiplicata per tutti gli anni trascorsi.

Non che Fininvest non sia corsa ai ripari di fronte alla sentenza: ha fatto ricorso in appello e sul piano contabile, nel dicembre del 2009, aveva ottenuto una fidejussione da un gruppo di banche per onorare il pagamento in caso di condanna definitiva. L’«Accordo di Natale», come fu ribattezzato, sancì una tregua tra i due eterni rivali Berlusconi e De Benedetti. Ora però che si è arrivati alle battute finali, il clima si fa più teso e rovente. Nel frattempo durante il processo di appello, svoltosi l’anno scorso, una nuova perizia ha stabilito che il danno da risarcire alla Cir va ridotto di circa il 30%, ma per Fininvest la somma potrebbe anche dimezzarsi.