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 2011  luglio 05 Martedì calendario

I manager? Più sbagliano, più fan soldi - La crisi economica occidenta­le sta scemando, ma negli ul­timi tempi i quotidiani han­no riportato, chi sottolinean­dola chi nascondendola tra le righe, un’altra notizia se non pessima al­meno inquietante: parecchi mana­ger e consulenti responsabili della débâcle hanno ripreso a guadagna­re come e più di prima

I manager? Più sbagliano, più fan soldi - La crisi economica occidenta­le sta scemando, ma negli ul­timi tempi i quotidiani han­no riportato, chi sottolinean­dola chi nascondendola tra le righe, un’altra notizia se non pessima al­meno inquietante: parecchi mana­ger e consulenti responsabili della débâcle hanno ripreso a guadagna­re come e più di prima. Ne parla anche Matthew Stewart in Twilight manager. Il crepuscolo del manage­ment , appena uscito per Fazi, (pagg. 442, euro 18) e già al centro di parecchie discussioni. Sottotito­lo del saggio: «Perché gli esperti di business continuano a guadagnare milioni e a sbagliare tutto?». Abbia­mo girato la domanda ad esperti del settore. «I consulenti guadagnano così tanto - ci dice Giulio Sapelli, ordi­nario di Storia economica alla Sta­tale di Milano - perché tolgono re­sponsabilità al dirigente, lo difen­dono, per poi diventare manager a loro volta, decuplicando i propri in­troiti: apoteosi, questa, del vero ca­pitalismo relazionale. E guadagna­no perché infine rassicurano tutti, o quasi. Su cosa? Difficile dirlo. Sia­mo nel capitalismo che sta distrug­gendo se stesso, quello degli Zinga­les e non più dei Warburg o dei Thyssen. In Europa continentale esistono pure due capitalismi con­trapposti, uno lodevole l’altro no. Il primo è quello dei francesi di BPN Paribas, per esempio, che hanno fatto sapere chi sarà il successore del presidente Michel Pébereau con un anno di anticipo, il secondo quello dei tedeschi della Deutsche Bank, in cui Josef Ackermann si di­batte da mesi in lotte intestine mol­to dannose. Un capitalismo che non sa regolare i rapporti di succes­sione non è, semplicemente, serio. Vi è stato un crollo dell’autoregola­mentazione etica e in parallelo lo sviluppo di un nuovo ceto sociale che disprezza l’umanesimo e che è stato formato soltanto dalle busi­ness school. Le quali, al posto di una classe dirigente, hanno sforna­to soltanto manager e tecnici, tutti cosmopoliti, senza nazione né radi­ci. Allan Bloom, in La chiusura della mente americana , (Lindau, ndr) aveva ragione quando parlava di al­lontanamento tragico tra materie umanistiche e classe dirigente. Det­to questo, l’aver pagato persone senza virtù civili in stock options ha trasformato i consulenti in animali predatori. Il banchiere Raffaele Mattioli scriveva nel suo diario i li­bri che non poteva permettersi, questi comprano intere isole gre­che. Chiaro che qualcosa non va e non potrà andare». Ma forse non son tutte rose e fiori per i consulenti. «Il settore ha avuto una flessione - ci racconta Nino Lo Bianco, presidente di una delle più grandi società italiane di consulen­za, la Bip - Business Integration Partners, fondata nel 2003 e arriva­ta oggi a 500 dipendenti. Per la pri­ma volta dagli anni ’50 ha perso il 6 per cento nel 2009 e il 2 per cento l’anno scorso. I manager sono co­me gli allenatori di calcio: pagati molto, ma a rischio. Oggi guada­gnano troppo perché c’è una spro­porzione eccessiva tra chi sta al ver­tice e chi alla base e io per primo non credo che il valore aggiunto dei top manager meriti questa spro­porzione. Queste retribuzioni ven­gono sovente stabilite da un comi­tato composto da amici sulla logica “Io tengo alto i tuoi compensi e tu i miei”. C’è da fare pure un discorso sui risultati dei manager, che eredi­tano situazioni favorevoli oppure cattive: a questo punto di chi è il merito reale dei risultati? Mar­chionne ha avuto guai all’inizio perché era entrato in una situazio­ne difficile: chi gli succederà avrà davanti qualche anno buono. Il manager veramente bravo è quello che guadagna in un momento dove tutti perdono. Solo lui merita com­pensi davvero alti ». Per Enrico Cisnetto, invece, edi­torialista e direttore di Cortina In­contra, urge un ripensamento della funzione di manager e consulenti: «Il capitalismo è stato sorretto per tanto tempo dalla distinzione tra detentore del capitale ed esecutori, ma di fronte alla contraddizioni che venivano dal lato finanziario il ma­nagement ha avuto difficoltà a le­gittimare se stesso. Eppure fare le scelte giuste vuol dire avere, spesso, attitudini diverse dal capitalista: un conto è scegliere bene i dirigenti e farli lavorare, un altro è prendere decisioni quotidiane. Dagli anni Novanta si è creata una casta molto mediatica di manager e consulenti che hanno costruito carriere più che risultati, con gestioni orientate al breve termine. Si legga: lucidare gli ottoni e mettere la polvere sotto il tappeto. La crisi ha solo messo sotto gli occhi di tutti la fragilità di questo management. Occorre una fase nuova. Nel libro di Stewart si parla anche di consulenti: proble­ma anche peggiore. Avvezzi a rac­contare il mondo con le slide a un management tendenzialmente ignorante, faccio fatica a rintrac­ciarne uno che ci ha messo in guar­dia non solo da questa crisi, ma an­che dalla bolla di internet del ’ 99». Per Luciano Gallino, sociologo e responsabile del Centro on line Sto­ria e Cultura dell’Industria, questa auto-reclusione del management non è una novità: «Negli ultimi trent’anni è stata data più impor­tanza alla capacità di gestire un bi­lancio che un’azienda. Si ritiene che il manager bravo è quello che sa generare buoni flussi di cassa, e così abbiamo assistito a dirigenti che passavano dal farmaceutico al­l’aeronautica, dalla grande distri­buzione agli elettrodomestici. Si­tuazione insostenibile, con aziende stile Enron che sulla carta avrebbe­ro dovuto produrre energia, in real­tà erano un conglomerato che di industriale non avevano più nulla. Ci si aspettava che da realtà simili emergesse una fonte straordinaria di ricchezza: tra il 2007 e il 2008 è scoppiato tutto. Alla base c’è un’inerzia culturale. Facoltà di eco­nomia e business school, queste ul­time emanazione diretta delle pri­me, continuano a sfornare principi, studi e teorie che sfidano la realtà. E che dalla realtà vengono regolar­mente prese a schiaffi. Ora che la crisi si sta riverberando sulle casse statali, lo vediamo ancora meglio».