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 2011  luglio 05 Martedì calendario

LA VITA E’ UNA COMMEDIA CON GLI ITALIANI ALL’OPERA COME SALTIMBANCHI

U na grande mostra di Gino Severini a Parigi fa ricordare improvvisamente i suoi affreschi nel castello toscano di Montegufoni. Ivi fui ospitato per un weekend, negli anni Cinquanta, dai vecchissimi Sitwell, Edith e Osbert. Avevo conosciuto lei allo Scala Theatre londinese, ove sulle musiche di William Walton declamava con ritmi perfetti i songs da Façade. Usando un megafono già servito per i draghi a Bayreuth. E dunque si rimpiangeva che non recitasse anche qualche suo altro song: per le Tre Streghe, per Anna Bolena... Ma vi si presentava anche una novità: il Giro di Vite di Britten, da Henry James. A Montegufoni, la stanza da letto si apriva sul piano poligonale di una torre, con affreschi di Arlecchini e Colombini e Pierrot tristi uso «Ridi pagliaccio» . Dame Edith mi spiegò che erano opera di Gino Severini, appunto, ai suoi inizi; e sempre dietro teli stesi perché non li vedesse il Sitwell padre, nemico delle avanguardie, e tradizionalissimo in quel castello cosi medioevale. ***Fatte le proporzioni, lo stesso avvenne per Rainer Maria Rilke, impiegato in uffici di retrovia a Monaco di Baviera, durante la Grande guerra, e ospite dei galleristi Thannhauser e della signora Herta König, cui è dedicata la quinta Elegia Duinese. Ma senza mai spiegare che nella sua stanza era appeso un famoso Picasso di Arlecchini e giocolieri e saltimbanchi, ora alla National Gallery di Washington. E qui il «non detto» si capisce subito. Ecco il vecchio clown «rientrato nella sua pelle potente, come se prima avesse vestito due uomini, nel cimitero l’uno dormendo ormai, e l’altro sordo gli sopravviva» . E il giovane Arlecchino, «quasi figlio di una monaca e di una nuca, rigido e gonfio di muscoli e semplicità...» . E del resto quel dipinto figura sulla copertina del Picasso blu e rosa, nei Classici dell’Arte Rizzoli. Anche Attilio Bertolucci, a suo tempo: «I giovani saltimbanchi, e la sognante luna, quando suona il tamburo, nella sera» . E Cesare Brandi: «Rompendo con gli arlecchini e i saltimbanchi, Picasso rinunciava al vitalizio» . Tutto si chiarisce, così. Ma se si descrivesse una «Castità» di Lorenzo Lotto adesso rientrata dalla sua mostra in un palazzo romano, senza alcun riferimento, in una elegia non di Duino (a Trieste), ma di Forte dei Marmi o di Venaria Reale? ***Ancora a proposito della recente eccellente mostra di Lorenzo Lotto alle Scuderie quirinalizie. Vi si è presentata, proveniente da Bergamo, una tipica Ascensione di Nostro Signore, su un ottimo arcobaleno e un emiciclo di nuvolette, e sopra un paesaggino minuscolo assai grazioso. Però, dietro, il fantasma di un Dio Padre tutto nebbioso può ricordare un analogo Zeus del Correggio, che abbraccia la ninfa Io con zamponi di nubi, negli «Amori degli Dei» al Museo di Vienna. Tuttavia questo, trattandosi di una Trinità, al centro dell’ipotetica testa ha una candida colomba (lo Spirito Santo) che con un becco non molto benevolo sembra «puntare» le testoline degli angioletti alati che si affacciano sereni e sbadati fra i cirri e i nembi. Come se si trattasse di uno strano enigma. ***Si vanno commemorando elusivi trentennali dalla scoperta dell’Aids. Senza abbastanza ricordare, forse, che arrivò dopo un decennio di Liberazione Sessuale, con movimenti assai progressivi di Figli dei Fiori, tra Woodstock e Re Nudo al Parco Lambro e locali trasgressivi scatenati nelle maggiori città californiane ed europee. Apparvero come una tragedia allarmante i decessi praticamente contemporanei di allegri giovanotti specialmente nei mondi dell’antiquariato e delle aste a Londra, benché i più vivessero a Bruxelles o a Ginevra o nelle Cicladi o in Patagonia o in Chianti. I più tradizionalisti attribuivano il morbo a rarissimi virus di località remote e non già (secondo la vulgata medica) a comuni contagi nelle situazioni di promiscuità metropolitana. ***Riccardo Muti giustamente domanda: come mai questi Due Figaro bellissimi di Mercadante sono stati dimenticati per quasi due secoli? Una celebre risposta, ancora più antica: troppa musica. Cioè: troppa bella musica (ottimi numeri solistici, concertati eccellenti, contrappunti squisiti, spagnolismi d’alta classe, invenzioni madrilene) che finiscono per risultare «riempitivi» su una drammaturgia scombinata e povera. Incredibilmente, giacché appartiene allo stesso Felice Romani del leggendario Turco in Italia. Con la tristezza di chiamare «Plagio» — plagiatore di se stesso? — lo sciocco «scrittore di commedie» che fa dell’in-and-out meta-teatrale nello snodarsi della vicenda. Come l’indimenticabile Poeta nel Turco. E qui, avanti con le memorie, a Ravenna. Si era infatti nel 1955 (verso l’alba della Rossini Renaissance), quando Gianandrea Gavazzeni riesumò quel favoloso Turco, con la Callas e Rossi Lemeni e Zeffirelli, alla Piccola Scala. E il Poeta: «Ho da fare un dramma buffo — e non trovo l’argomento — Questo ha troppo sentimento,— questo insipido mi par!» . Indimenticabile, in quel «buffo» come uno sbuffo di vaporiera, il vecchissimo Mariano Stabile. (Carriere lunghe. Anche il basso Baccaloni, si ascoltava alla Scala). Rammento forse troppo quei bei vecchi tempi, perché l’intervento del Poeta come gestore meta-operistico della trama mi fornì lo spunto per L’Anonimo lombardo, con una gerenza ormai pirandelliana (Sei personaggi, ecc.) dell’autore per le vicissitudini degli attori. Ma così ecco anche gli imbarazzi per il ritorno di un Felice Romani sulle sue antiche scelte, con le conseguenze pratiche per direttori e spettatori. Il titolo è una spiritosata, giacché l’ormai colonnello Cherubino vuol fare il furbo con l’ormai anziano Figaro. Ma l’ormai antico Felice Romani qui intende fare il furbetto con le ataviche Nozze di Figaro mozartiane. E qui, allora (quanti anni sono trascorsi?), il conte d’Almaviva, ora non già vegliardo ma bel ragazzo tenore, benché abitante a un solo miglio da Siviglia evidentemente non ha conoscenze in città. E per maritare l’unica figlia (più anziana di lui, in scena), ricorre a maneggi di servi grulli o bricconi, mentre la Contessa e Susanna, benché siano passati decenni di bei momenti, stanno sempre lì a fare le soubrettes, a nascondersi negli armadi... Citazioni ripetitive, fra senior ... Remember? ... September?... Imbarazzi anagrafici comunque sistemati in scena mediante la bravura dei giovani interpreti, e la magnifica esecuzione musicale, a Ravenna. Costumi e ventagli ricchi e splendidi. In una scenografia tipo Doña Rosita Nubile, più movimento di sedie che in tante Chaises di Ionesco. Inevitabili gesti di repertorio per significare stizza, sgomento, sgarbo, malumore, dispetto... Miserie: sguatteri con baciamani e nobildonne, un titolato che presenta la consorte a un creduto nobile... Superamento di posizioni «neo» o «retro» ? La musica è comunque eccellente, caro Maestro. ***Per le prime Notti Bianche a San Pietroburgo, col magnifico Gergiev, si ricevette da certi colleghi un telefono ove rispondeva un Kalashnikov. Evidentemente un nome d’arte. Anyway, mi ricevette nell’ufficio presidenziale del teatro Marijinskij, mi domandò se avevo i dollari in contanti, e mi vendette posti magnifici, mentre gli ex sovietici facevano inutili interminabili code al botteghino, per prezzi irrisori lì affissi.