Giovanni Caprara, Corriere della Sera 5/7/2011, 5 luglio 2011
ATLANTIS, L’ULTIMO VOLO DELLO SHUTTLE PER L’OCCIDENTE E’ LA FINE DI UN’ERA
Sarà l’ultimo volo dello shuttle. Quando venerdì Atlantis decollerà da Cape Canaveral si chiuderà anche un’era iniziata trent’anni fa, il 12 aprile 1981. Qualcuno, come l’Economist, sostiene addirittura che sarà la fine dell’era spaziale perché l’esplorazione come era stata intesa e praticata nei cinquant’anni passati con uno spirito da fantascienza oggi non c’è più. E per qualche decennio l’uomo rimarrà confinato al di sotto dei 36 mila chilometri dove ruotano i satelliti per le telecomunicazioni. In effetti l’America che finora ha condotto il gioco, ma anche la Russia, storica antagonista, esprimono idee ma non programmi. Il presidente Barack Obama chiudendo i voli delle navetta e cancellando il ritorno sulla Luna deciso dal predecessore Bush, parla di missioni sugli asteroidi, in prospettiva su Marte, ma intanto sollecita solo lo sviluppo di tecnologie senza legarle ad alcun piano come aveva fatto John Kennedy nel 1971. Erano altri tempi e le condizioni di allora, secondo molti, sono irripetibili. Che cosa manca all’America per riconquistare lo spirito di quei momenti, chiedemmo all’astronauta Charlie Duke, pilota del modulo lunare dell’Apollo-16: «Kennedy e l’Unione Sovietica» , ci rispose; cioè un visionario e un antagonista. Questa è la storia di oggi, senza grandi entusiasmi e nessuno in grado di suscitarli. E, forse, incominciarono a spegnersi proprio quando il presidente Richard Nixon decise di costruire la flotta degli shuttle nel 1972. La Nasa gli proponeva assieme una stazione spaziale, una colonia sulla Luna, il viaggio su Marte. Scelse solo lo shuttle considerando che la situazione e gli interessi degli americani erano cambiati. Lo shuttle si presentava come un veicolo rivoluzionario, la prima vera astronave in grado di andare e tornare tante volte dallo spazio, almeno cento volte ciascuna, con a bordo sette astronauti e 29 tonnellate nella stiva. Doveva costare 5,5 miliardi di dollari, ma il conto esatto ancora non è stata fatto. Ora si sa che soltanto un volo costa tra 500 e mille milioni di dollari a seconda delle valutazioni. Per l’ingegneria spaziale lo shuttle è stato un successo perché rimane il primo e unico veicolo recuperabile abitato ma anche un fallimento. Il concorrente sovietico Buran, compì solo un viaggio senza cosmonauti a bordo. Lo shuttle, infatti, doveva poter partire una volta la settimana e invece dopo trent’anni i cinque veicoli della Nasa sono arrivati insieme a 135 missioni. Due disastri nel 1986 e nel 2003, con 14 vittime, dimostrarono la complessità di un mezzo che l’ingegneria ancora non era in grado di controllare pienamente. Di conseguenza, tutti i progetti dei successori, negli Usa come in Russia, ma anche in Cina e in India, hanno abbandonato l’idea dello spazioplano, ritornando alle più collaudate capsule meno avveniristiche ma più sicure. Occorre ancora ricerca e ingenti risorse economiche per andare oltre. «Ogni volta che lo shuttle parte sono nervoso» dice Charles Bolden, amministratore della Nasa e veterano astronauta con quattro missioni shuttle alle spalle. Infatti, di tutte le decisioni prese nel 2004 dal presidente George W. Bush l’unica condivisa dal successore Obama è stata l’interruzione dei voli delle navette. Troppo pericolose e troppo costose. Ma, in trent’anni, senza di esse molte imprese sarebbero state impossibili. Le due più importanti: il lancio, la riparazione e l’ammodernamento del telescopio spaziale Hubble che ha rivoluzionato l’astronomia e la costruzione della stazione spaziale internazionale come la vediamo lassù. Ora, con il ritiro degli shuttle, gli Usa si trovano nell’imbarazzante situazione di aver costruito una casa cosmica da cento miliardi di dollari e di non avere il mezzo per raggiungerla. Devono chiedere un passaggio agli ex avversari russi pagando 62 milioni di dollari per ogni viaggio di un loro astronauta. Prima del 2015, nella migliore delle ipotesi, nessuna navicella statunitense privata, come ha chiesto Obama, sarà in grado di volare. Intanto dall’altra parte del pianeta Cina e India stanno correndo diventando le nuove potenze spaziali con lo spirito e l’entusiasmo una volta prerogativa di Washington. New Delhi sta costruendo una capsula per spedire i suoi primi astronauti in orbita nel 2015 (il piano di 1,7 miliardi di sterline è stato approvato nel 2009) ma intanto già manda sonde intorno alla Luna. E lo sbarco umano sulla Luna nel 2025 (ma il Pentagono ritiene che accadrà prima) è l’obiettivo a cui lavora Pechino preparando intanto una missione per recuperare campioni di suolo selenico con un robot nel 2017. Nel frattempo Cina e India stanno occupando il mercato spaziale con i loro vettori e la tecnologia satellitare. Queste capacità sono sostenute da ingenti investimenti nella Difesa e da economie ricche che vedono nello spazio la via migliore per mostrare le loro crescenti possibilità. Così, il rilancio delle grandi sfide cosmiche e di un nuovo spirito anche per l’Occidente resta, dunque, nelle loro mani.